Vidulli Marisa - caARTEiv - Sezione SCRITTORI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ASS. caARTEiv

 

 

Simona Bellone pres. caARTEiv

 

 

Viaggio Poetico - Simona Bellone

 

Articoli caARTEiv News

 

In Arte caARTEiv News Magazine

 

Giornalino Storico caARTEiv

 

Omaggio ai Cantautori

 

MUSICA

 

Arte in creazione

Mostre Arte in Tour Collettive

 

ARTE

 

Due passi nell'arte con...

Arte in onda - Parola d'Autore

 

 LETTERATURA

 

Pausa caffè l'Autore

 

SPETTACOLO

 

Cara vecchia Cartolina

 

STORIA

 

Dialetto e Antichi Mestieri

 

ATTUALITÀ

 

Culturando Informando Arte

 

LIGURIA

 

Poetando Val Bormida dal 1998Arte e Storia - Val Bormida

 

 

Concorsi artistici caARTEiv dal 1998

 

 

Viaggio Poetico - Simona Bellone

 

caARTEiv on Facebook

 

ARTISTI BANDO Concorsi Mostre

 

Giornalino Storico caARTEiv

 

FESTIVAL caARTEiv delle ARTIMostre Arte in Tour Collettive

Poetando Val Bormida dal 1998

 

Due passi nell'Arte con...

Cara vecchia CartolinaPausa caffè d'Autore

Arte in Onda - Parola D'Autore

 

Culturando Informando Arte

Arte e Storia - Val Bormida

Dialetto e Antichi Mestieri

 

 Omaggio ai Cantautori

Arte in creazioneViaggio Poetico - Simona Bellone

 

In Arte caARTEiv News Magazine

 

Risultati Foto Articoli Concorsi

MURALE LETTERARIO

 

ALBO D'ORO Poesie Racconti Haiku

ALBO D'ORO LIBRI EDITI

CROCI Cavaliere e Memoria

 

Concertisti caARTEiv

 

CARTOLINE Riofreddo

CARTOLINE Velieri Poesie Marinaio 2008

CARTOLINE Velieri Poesie Marinaio 2010

 

 sito caARTEiv

sala caARTEiv

 

Riofreddo di Murialdo Millesimo

Cengio Alto prof. Renato Pancini   

Siti d'Arte amici

Ass. R.Aiolfi SV Ass. Alias AustraliaAss. Zacem SVA Storia SVLa Compagnia

 

Ass. Volontariato Millesimo

AVIS MILLESIMO

 

 

dizionario dei

 

 

sentimenti

 

programma televisivo di

 

Franco Simone

 

Artisti internazionali d.o.c.

 

 

NEWS on FACEBOOK

 

 

Giornalino Storico Simona Bellone

 

 

TOP PAGE caARTEiv

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ASS. caARTEiv

 

 

All News on caARTEiv

 

 

Viaggio Poetico - Simona Bellone

 

Articoli caARTEiv News

 

In Arte caARTEiv News Magazine

 

Giornalino Storico Simona Bellone

 

Omaggio ai Cantautori

 

MUSICA

 

Arte in creazione

Mostre Arte in Tour Collettive

 

ARTE

 

Due passi nell'arte con...

Arte in onda - Parola d'Autore

 

LETTERATURA

 

Pausa caffè l'Autore

 

SPETTACOLO

 

Cara vecchia Cartolina

 

STORIA

 

Dialetto e Antichi Mestieri

 

ATTUALITÀ

 

Culturando Informando Arte

 

LIGURIA

 

Poetando Val Bormida dal 1998Arte e Storia - Val Bormida

 

 

Simona Bellone in arte dal 1978

 

 

Viaggio Poetico - Simona Bellone

 

caARTEiv on Facebook

 

Giornalino Storico caARTEiv

 

In Arte caARTEiv News Magazine

 

FESTIVAL caARTEiv delle ARTI

Mostre Arte in Tour CollettivePoetando Val Bormida dal 1998

 

Due passi nell'Arte con...

Cara vecchia CartolinaPausa caffè l'Autore

Arte in Onda - Parola D'Autore

 

Culturando Informando ArteArte e Storia - Val Bormida

Dialetto e Antichi Mestieri

 

Omaggio ai CantautoriArte in creazione

Viaggio Poetico - Simona Bellone

 

Giornalino Storico Simona Bellone

 

pres.SIMONA BELLONE

Ceramiche  Quadri

Mostre Premi Foto Opere Articoli

Libro Genealogia Bellone

Libro VAL BORMIDA  Libro poesie

 Libro Vittorio Centurione Scotto

 

CARTOLINE Riofreddo

Video Rai   Libro Riofreddo 

MURALE LETTERARIO  MUSEO

CARTOLINE Velieri Poesie Marinaio 2008

CARTOLINE Velieri Poesie Marinaio 2010

 

 sito caARTEiv

sala caARTEiv

Buon compleanno Millesimo

Buon compleanno caARTEiv

Lory / SimonaPappagallo Lory

News Web Computer Grafica  Curiosità MUSICACuriosità Natura

 

 

dizionario dei

 

 

sentimenti

 

programma televisivo di

 

Franco Simone

 

Artisti internazionali d.o.c.

 

 

NEWS on FACEBOOK

 

 

Giornalino Storico caARTEiv

 

 

TOP PAGE caARTEiv

 

 

 

Ass. culturale caARTEiv - MillesimoSavona - Liguria - Italia - Europa

ARTISTI

    

 Arti  letterarie     arti  figurative     arti  audiovisivE

                      

-Poeti        Scrittori  -  Pittori      Scultori   Artigiani Modellatori

                                   

  Artigiani Ricamatori    Arte Moda    Fotografi     Arte Grafica     Arte PerformativA

                

  Cantanti         Musicisti         Danzatori         Attori         Registi

 

   SCRITTORI  

VIDULLI MARISA

Genova

 

NEWS EBOOK 2020

 

 

 Marinella e le altre

 21 donne 21 storie

 

(racconti)

 

di Marisa Vidulli

 

 

Presentazione:

La forza di questo libro, e delle storie che vi sono raccontate,

sta nella determinazione delle protagoniste nell’inseguire i propri sogni.
Il bello di queste donne è che “non le ha fermate niente e nessuno”

e non si sono mai tirate indietro se non per prender la rincorsa , inoltre,

come dice Karen Blixen,

“Ogni dolore può essere sopportato se su di esso si costruisce un racconto.”
Proprio questa ultima affermazione mi ha fornito l'input per scrivere queste storie di donne.
DONNE che han saputo trasformare il cambiamento in un trampolino.
In conclusione, in questi 21 racconti è racchiusa la storia di 21 donne e la loro forza.

Marisa Vidulli è nata a Pola. Vive e lavora a Genova.

Docente di lingua e letteratura inglese alla Scuola superiore, è autrice di varie pubblicazioni,

tra cui due libri di testo per la scuole superiore, (Loffredo editore).

Ha scritto anche molte novelle a risvolto psicologico pubblicate su riviste e giornali

per alcune delle quali ha ricevuto il premio "OSSERVATORE Letterario 2000”.

Ha partecipato al premio letterario Italo Calvino ed è stata inserita

con un suo racconto nella biblioteca telematica degli inediti.
Ha pubblicato in eBook con Simonelli Editore: «UOMINI: Istruzioni per l'Uso»;

«Pillole anti-stress», «Come affrontare il Pianeta Donna e uscirne alla grande»,

«La valigia di tela verde».
Collabora attualmente al periodico “Arcobaleno”, giornale del ponente ligure,

dove tiene una rubrica a carattere psicologico con i lettori.

 

 

 

 

 

 

Recensione:

 

 

 Ebook in vendita a questo link:

 

 https://www.ebooksitalia.com/ita/detail_ebook.lasso?codice_prodotto=20200606192205981525  

 

 

***

 

Arte in onda - Parola d'Autore - © caARTEiv 2015

Racconti e poesia di Marisa Vidulli di Genova

https://www.youtube.com/watch?v=WP76qpP6GVE

 

www.facebook.com/AssociazioneCulturalecaARTEiv/photos/

a.10152941772785823.1073741846.82998095822

/10152949316615823

 

Intervista, lettura e video di Simona Bellone pres. caARTEiv

Opere di Marisa Vidulli lette da Simona Bellone nel video: 
Poesia: "Luna a Boccadasse" (Lunn_a a Boccadaze)
Racconti: "Follia amorosa" - "Flash" - "La madre"

 



- Il 26 giugno 2015 la scrittrice Marisa Vidulli ci ha raccontato il suo percorso letterario al telefono,

ed abbiamo potuto allietarci con la sua simpatia ed arricchirci con la sua esperienza di vita,

segnata tragicamente dell'esodo da Pola, ma poi affascinata dalla superba bellezza di Genova.

Con il suo prezioso marito che collabora attivamente per la stesura della sua letteratura,

ora vive a Boccadasse,

una perla del mare ligure entusiasmata come lei stessa alle avventure marinare e letterarie.

Dal dialogo telefonico, traspaiono le sue origini venete nonché la sua sapienza culturale

scaturita dal suo insegnamento di lingua inglese.

I suoi racconti talvolta rapiscono il cuore narrando di un triste passato remoto,

ma ci sanno anche conquistare con allegria,

meravigliandoci con il suo sagace umorismo incorniciato di grande fantasia.

Restiamo in piacevole attesa per la pubblicazione dei suoi prossimi racconti,

nonché speranzosi che possa raggiungerci presso la sede caARTEiv (Millesimo - Savona)

per un intervista a tu per tu dal vivo, all'ombra del rinomato ponte "Gaietta".

È stato un grande piacere leggere i suoi componimenti scorrevoli e poliedrici,

e farmi coinvolgere dalle sue emozioni di vita.

 

- Simona Bellone pres. caARTEiv 

 

***


 

***
 

Festival caARTEiv delle Arti 2015

 

"Il carabiniere"

Vota e clicca "mi piace" al video e alla foto in youtube e facebook:

www.youtube.com/watch?v=ul7jkeDR6ac

***

www.facebook.com/AssociazioneCulturalecaARTEiv/photos/

a.10152790136820823.1073741833.82998095822/

10152923950610823/

 


"Il carabiniere"
di Marisa Vidulli
di Genova

- Il mito della nota serie televisiva "Don Matteo" ha ispirato l'autrice per questo vivace racconto ironico

che ha per protagonista la figura statuaria di un bel Carabiniere in divisa. -
Simona Bellone pres. caARTEiv

 

 

"Il carabiniere"

Vota e clicca "mi piace" al video e alla foto in youtube e facebook:

www.youtube.com/watch?v=ul7jkeDR6ac

***

www.facebook.com/AssociazioneCulturalecaARTEiv/photos/

a.10152790136820823.1073741833.82998095822/10152923950610823/

 

***

 

FESTIVAL caARTEiv delle ARTI 2015

Guarda i video delle opere dei partecipanti alla votazione popolare:

www.youtube.com/playlist?list=PLxGV-Qi6jNqz_DS6hOppA3y1tHD-fbNUh

(Per chi ha tacitamente dato il consenso alla divulgazione in internet:

per questioni di copyright non ci sono tutti,

ma partecipano comunque alla votazione della giuria interna.)
***

 

 

MARISA VIDULLI
 

Marisa Vidulli è nata a Pola, da famiglia istriana.

            Nel 45, a soli tre mesi, ha lasciato l'Istria con al famiglia ed è approdata dapprima a Lecco, dove ha conseguito la maturità classica ed in seguito a Milano.

            In questo capoluogo ha seguito per un biennio i corsi di psicologia tenuti da "Cesare Musatti" all'Università statale e si è poi laureata in "Lingue e letterature straniere" con il famoso anglista "Agostino Lombardo".

Ha in seguito sposato un genovese ed ha due figli ormai grandi: uno avvocato, l'altra biologa.           

Vive nel caratteristico borgo di Boccadasse, a Genova, dove lavora. Ha insegnato lingua e letteratura inglese prima nel liceo linguistico "Grazia Deledda" e in seguito all'Istituto "Duchessa di Galliera". Nel corso di questi anni di insegnamento, ha scritto due libri di testo in lingua inglese e precisamente "Language prose and poetry" per il biennio della scuola superiore e "War and love"; entrambi editi da "Loffredo Editore" di Napoli, con grande successo editoriale: i volumi sono stati adottati in tutta italia.

            Il processo creativo di scrivere un libro l’ha talmente intrigata fino a farle scoprire una vena latente ed  ha continuato a scrivere, in lingua italiana questa volta.

            Ha quindi scritto il libro "Uomini istruzioni per l’uso" – giugno 98 "meb editore" -, in cui esamina l’affascinante aspetto della psicologia di relazione tra uomo e donna, con un buon successo di critica e di pubblico.

            Ha inoltre scritto molte novelle, pubblicate finora su riviste e giornali, di vario genere, dal drammatico all’intimista, dal satirico al comico, ed attualmente le sta assemblando per una prossima pubblicazione con una casa editrice del nord Italia.

            Il suo ultimo libro, il manuale intitolato "Pillole antistress" è uscito l’anno scorso, con un buon successo di critica e di pubblico.    Attualmente è impegnata nella stesura del suo ultimo libro "Antichi proverbi e detti" - "Giuliano Dalmati", con brevi commenti ed aneddoti.

 

 

Racconti e poesie:

 

SONIA E LE ALTRE

tratto da

"19 DONNE - 19 STORIE"

 

di Marisa Vidulli

 

***

SONIA

Ed ecco, all’improvviso, scoprirsi un’insenatura nascosta, di ulivi e castani. Un piccolo villaggio, Portofino, si allarga come un arco di luna attorno a questo calmo bacino. Attraversiamo lentamente lo stretto passaggio che unisce al mare questo magnifico porto naturale, e ci addentriamo verso l’anfiteatro delle case, circondate da un bosco di un verde possente e fresco, e tutto si riflette nello specchio delle acque tranquille, ove sembrano dormire alcune barche da pesca. (Guy de Maupassant)

PORTOFINO non era cambiata affatto, era cambiata lei SONIA, rivedere il borgo dopo tanti anni era una sensazione bellissima e malinconica assieme, ecco le case dai colori sgargianti,la piazzetta, i carruggi.

Portofino si dipanava sempre davanti agli occhi del visitatore come un gomitolo multicolore, in un groviglio di stradine in salita e di viuzze in discesa. Era tutto un assemblarsi festoso di tetti rossi e finestre verdi, di rampicanti fioriti sui muri, dipinti di colori forti, decisi -soprattutto gialli ,di una particolare tonalità quasi ocra, e rosa scuro- con il mare azzurro a lambire le due sponde. Quella di destra più "out" , quella di sinistra decisamente "in", dove " La Grotta" la faceva da padrona, con la sua caratteristica zattera galleggiante sul mare , il cui odore salmastro arrivava a folate e ti inebriava ,  le case variopinte tutt'intorno come partecipi di tanta bellezza. e infine ecco il molo e l'anfratto dove usavano ormeggiare la loro barca passare la notte. Tutto era uguale tutto la riportava indietro negli anni mentre camminava lenta con la figlia,  attenta a non inciampare altro che salti dal molo per entrare nel cabinato, il braccio della figlia le era di grande aiuto soprattutto ora dopo aver fatto la protesi all'anca.

Ma non era nostalgia la sua era consapevolezza di avere passato momenti felici, allegri in un luogo così magico e con un uomo strepitoso quale era stato suo marito, uomo di mare , campione di motonautica, ma soprattutto di lei innamorato e dotato di una grande positività, che ora Sonia metteva a frutto, era una grande lezione appresa da lui. Certo che le mancava ma nemmeno tanto perché se lo sentiva talmente vicino, quasi le camminasse accanto anche ora in questo momento la sua non presenza era più che mai presenza, sentiva la sua mano sulla spalla, ma non disse niente alla figlia, per non passare per matta.

D'altronde dopo 52 anni di matrimonio e che matrimonio! Erano tanti, volati via in un baleno.

Certo c'erano stati I momenti difficili, il marito aveva cambiato parecchie volte il lavoro, ma in compenso aveva sempre vinto tutte le gare di motonautica, aveva perso solo l'ultima gara quella con la malattia, ma non dopo avere terminato l'ultimo libro il suo capolavoro, quello su Cristoforo Colombo a cui si sentiva molto vicino, stessa curiosità, stessa audacia, stesso amore per il mare.

SONIA ricordava l'accanimento con cui vi lavorava negli ultimi tempi, quando era già in dialisi quasi un presentimento “devo finirlo” ripeteva ai suoi velati rimproveri: “non ti stancare amore mio” era come posseduto.

A tutto questo pensava Sonia mentre con la figlia girovagava per il borgo e, senza profferire parola, si asciugava una lacrima furtiva, gesto che tuttavia fu notato dalla figlia che subito disse: “Lo sai che tuo nipote questo anno frequenterà una scuola di recitazione ?” E così parlando del nipote si avviarono lentamente al garage su per la salita per riprendere la macchina e con essa la vita, che va sempre avanti, mai volgersi indietro, ricordare si, ma non indugiare, pensava Sonia, che da quella rimpatriata aveva tratto beneficio e ne avrebbe fatto buon uso raccontandolo in uno dei suoi racconti.

 

 

 

 LA VALIGIA DI TELA VERDE

 

di Marisa Vidulli


 

***

 

   Marina teneva in un angolo della casa una valigia. Per tutto l'anno quell'oggetto faceva bella mostra di sé nell'anticamera dell'appartamento dove viveva col marito e i due figli.

 L'aveva acquistata  una bella ma fredda  mattina di primavera di alcuni anni prima, con il vento teso e tagliente  che cosi spesso soffiava nella sua città di mare a spazzare un cielo azzurro da cui proveniva l'odore del primo sole della stagione.  Anche i rumori  del traffico cittadino che riempivano l'aria tersa erano diversi, come dilatati, dal suono quasi metallico. La città sembrava respirare, così senza ombra di smog, e bersi tutto  quel nitore.

 

   Pure Marina respirava a pieni polmoni canticchiando tra sé,  mentre camminava svelta svelta per raggiungere la fermata dell'autobus tirandosi dietro la  valigia appena comprata.  

 Come l'aveva vista nella luccicante vetrina del negozio di pelletteria del centro se n'era subito innamorata e, senza pensarci due volte, l'aveva acquistata, portandosela poi a casa, ingombrante com'era.

 Era una bella valigia di tela robusta, di un bel color verde scuro, con le rotelle e spaziosa che ci poteva stare tutto ciò di cui una persona avesse avuto bisogno per un viaggio, anche di lunga durata.

  Una striscia di cuoio ad una delle estremità  permetteva al proprietario di trascinarsela dietro senza fatica. Era insomma una gran bella valigia: solida, grande e comoda, il massimo per viaggiare. Ed a questo pensava ogni volta che la vedeva Marina, accarezzandola di soppiatto tra una faccenda e l'altra, spolverandola di tanto in tanto, ma senza mai riporla nell'armadio con le altre valigie dove sarebbe stato il suo posto.

 

   "Ma perché quella valigia  sempre tra i piedi?", chiedeva stupito il marito, che più di tanto alla casa non prestava attenzione, ma in quella valigia era già inciampato più volte, perché era sempre lì, nell'angolo più oscuro dell'anticamera, come fosse stata da un viaggiatore distratto in quel luogo dimenticata.

"E' perché non c'è più posto nell'armadio a muro, non so proprio dove metterla!", rispondeva vaga Marina, quando le veniva posta- di rado a dire il vero, perché in famiglia ognuno andava e veniva badando ai fatti suoi- la domanda. E  tutto finiva lì.

Per lei invece la valigia rappresentava tutto ciò che desiderava di più al mondo, e non avrebbe -chissà- forse mai  avuto. Rappresentava insomma la Libertà.

 Non che volesse fuggire ed abbandonare casa ed affetti Marina: no, questo era impensabile, ma partire per un bel lungo viaggio, qualche volta, ah, questo sì! Il solo pensiero l' estasiava, le infondeva allegria e coraggio, la faceva volare alta con la fantasia, dandole soprattutto la forza di continuare giorno dopo giorno quella noiosa  routine domestica, che odiava in cuor suo, ma a cui sapeva di doversi adattare per il bene dei suoi cari: il marito e i due figli che amava teneramente.

 

   Quella valigia era il suo sogno segreto, la sua coperta di Linus, la sua terra di conquista,  la finestra sul mondo insomma, quel mondo che avrebbe voluto vedere tutto, tanto era grande, ma non poteva, perché doveva badare alla famiglia, come era giusto che fosse.

Ma poteva fantasticare, questo sì, questo non glielo poteva togliere nessuno e volare  lontano con la fantasia  abbandonandosi a sogni di ogni genere. Ecco il perché di quella valigia vuota nell' anticamera, che ogni tanto, di soppiatto, accarezzava.

 Aveva già visto le piramidi Marina  con la sua valigia, e le statue dei faraoni, seduti maestosi con le palme  delle mani sulle ginocchia. Aveva risalito la valle del Nilo, respirato l'aria acre del deserto, annusato l'odore dei cammelli, aveva visto i beduini discendere dalle dune all'alba ed i tramonti di fuoco sulla Valle dei Re. Si trattava naturalmente di un viaggio fatto con la fantasia , ispiratole da uno spot pubblicitario televisivo. La prima volta che lo aveva visto, restandone incantata ,era andata subito a controllare la sua valigia di tela verde, guardandola come affascinata, mentre si immaginava di riempirla con abiti adatti-  avrebbe fatto caldo? avrebbe fatto freddo?- per andare a visitare l'Egitto e le sue mille meraviglie.

 

   Un'altra volta le era successo di vedere un documentario su Londra dove aveva vissuto a lungo da ragazza.

 Aveva rivisto il Cambio della Guardia, con i soldati dai grandi colbacchi neri e la giubba rossa, a cui aveva fatto, invano a dire il vero, gli sberleffi con la sua amica, nel tentativo di farli ridere ed abbandonare l'aria serissima che li contraddistingueva.

 

   Aveva rivisto la National Gallery con i suoi dipinti, che si ricordava ad uno ad uno, anche se tanti anni erano passati. Ricordava in particolare quella fanciulla di Renoir che tanto l'aveva colpita,  ancor più del famoso dipinto di Leonardo da Vinci, da sempre la sua grande passione. Doveva averne ancora la riproduzione, allora acquistata, da qualche parte.

Poi, con un gran tuffo al cuore, aveva rivisto St James's Park dove aveva passato lunghi, felici, incantati pomeriggi, col  fidanzatino di allora - chissà se c'era ancora sulla corteccia di quell'albero l'incisione coi loro nomi? - e poi, e poi... la cattedrale di St. Paul e l'abbazia di Westminster e il museo di Greenwich con le polene sulle navi, e poi e poi... Gli occhi chiari di Marina in quei momenti sembravano perdersi nella lontananza dei ricordi.

 

   Era corsa  allora  dalla sua valigia e, con gli occhi umidi, l'aveva accarezzata a lungo. Avrebbe tanto voluto ritornare in quei luoghi, anche per poco tempo, solo per pochi giorni, durante il Ponte dei Morti, forse  si poteva fare si era illusa per un attimo." Ma no che non si poteva, sei diventata matta?" le aveva  subito detto  con tono perentorio il marito la sera stessa quando lei timidamente aveva accennato l'argomento e Marina non era  stata proprio capace di imporre la propria volontà, come sempre d'altronde.

Si, forse quella volta era stata la peggiore di tutte. Aveva pianto, silenziosamente, mentre spolverava la sua valigia, controllandone le rotelle nuove, le cerniere luccicanti ed il comodo manico estraibile. Aveva anche provato in cuor suo un moto di ribellione in quell'occasione, sebbene  questo sentimento non facesse parte della sua natura docile e sottomessa, e l'indomani mattina, appena uscito il marito, aveva telefonato all'aeroporto chiedendo dei voli per Londra, con il cuore che le batteva forte nel petto, mentre annotava  gli orari ed i prezzi diligentemente sulla sua agenda. Poi  il sogno vagheggiato  e teneramente nutrito aveva avuto termine, come una bolla di sapone evanescente che vola leggera e colorata nell'aria ed alla fine in essa si dissolve. Aveva volato anche lei come la bolla di sapone, dai mille colori, con la  fantasia per ore e ore, ed infine  il sogno si era silenziosamente dissolto nel nulla. Da quella sera non aveva  più trovato il coraggio di trasmettere al marito i suoi pensieri, per paura di sentirsi ripetere per l'ennesima volta che lui tanto a Londra o a New York o a Parigi c'era già stato e non gli interessava per niente ritornarci.

 

   Avrebbe potuto partire da sola Marina o con una amica, o con la figlia già grandicella, ma in fondo in fondo era una codarda, non aveva il coraggio di affrontare una discussione con il marito, che sicuramente non avrebbe gradito quella presa di posizione.

L'indomani però era partita per Milano. Aveva messo lo spazzolino da denti e il pigiama nella grande valigia verde ed aveva preso il treno per la capitale lombarda, dove viveva la sorella.

"Ma quanto hai intenzione di fermarti?", le aveva chiesto stupita quest'ultima, vedendola arrivare con quel gran valigione." Non ti preoccupare, riparto domattina." aveva risposto alla sorella  ancor più meravigliata all'udire quella risposta ed anche un po'  preoccupata per la sua salute mentale. "Ma come," le aveva detto, "arrivare con una valigia così grande, e vuota per giunta, per una notte sola."

 

   La sera aveva telefonato al marito, per informarlo di quella visita decisa su due piedi, e per rassicurarlo. Il marito infatti era  un brava persona, molto affezionato alla moglie, ma anche estremamente possessivo e tanto, veramente troppo, egoista. Non ammetteva che la moglie potesse viaggiare senza di lui, però lui andava solo dove gli piaceva e solo quando, raramente, il lavoro glielo permetteva .Inoltre era anche geloso perché Marina era bella, bionda e slanciata, con gli occhi azzurri ed una bocca  rosea e morbida,  che, quando sorrideva, il che le capitava sempre più di rado ultimamente, le illuminava il volto. Aveva lavorato come modella prima di accasarsi, ma poi con l'arrivo dei  figli si sa, i sogni bisogna metterli nel cassetto e rimboccarsi le maniche.

L'indomani mattina presto, Marina si era recata a visitare il museo Poldi e Pezzoli, poi, di corsa, con un taxi, si era fatta portare al Museo d'Arte Moderna, dove aveva rivisto tutti i suoi quadri preferiti tra cui quegli impressionisti che tanto l'affascinavano. Infine aveva ripreso il treno ed era ritornata a casa con la sua grande valigia verde, alquanto rasserenata.

 

   Negli ultimi tempi, ogni qual volta le capitava di vedere, un film girato a New York, città che conosceva bene per esserci stata col marito e con i figli molti anni  addietro, era per lei una vera sofferenza, una tortura per l'anima. Finito il film, spenta la televisione e riordinata con cura la cucina, passava furtiva accanto alla sua valigia e l'accarezzava, chiedendosi se avrebbe resistito ad un viaggio così lungo, intercontinentale- forse non era abbastanza robusta, si sa come trattano i bagagli negli aeroporti- ed intanto mentre apriva e chiudeva le lucide cerniere, provando e riprovando i due lucchetti- uno piccolino vicino al manico, l'altro appena più grande attaccato alla serratura centrale -sognava le Torri Gemelle e quel grande grattacielo, dalla cuspide di foggia barocca, tutta illuminata di notte nel cielo d'inchiostro, di cui non ricordava il nome. E rivedeva con gli occhi della memoria  Central Park ed  il nastro argenteo del fiume Hudson ed il cuore di New York, Manhattan, palpitante di vita ad ogni ora del giorno e della notte, ed il grande e glorioso albergo Plaza. Ecco, si, il Plaza, passare una notte al Plaza con la sua valigia verde: ecco cosa avrebbe voluto fare. E se ne andava a dormire sperando di sognare New York, mentre il marito placidamente russava ed a New York non ci pensava nemmeno di tornare, tanto ci era già stato e di rivederla  nemmeno a parlarne. Voleva vedere posti nuovi lui.

 

   Marina non aveva ancora capito bene come mai il marito amasse rivedere i film che gli erano piaciuti   due ed anche tre volte - c'era quel  film giapponese sui samurai che rivedeva religiosamente almeno due volte all'anno, e non solo quello - mentre nei posti che pure aveva amato visitare, e tanto anche, non volesse far ritorno. Misteri della psiche umana, pensava Marina, o forse della psiche maschile, chissà. Lei invece amava immensamente tornare nei posti dove era già stata; il piacere  di ritornare le sembrava dilatato a dismisura dall'intensità dell'emozione di rivedere e  ritrovare, quasi  di ritoccare.

 Come a Parigi per esempio. Vi si era recata due volte: la prima tornando da Londra, giovanissima, con la sua  amica  Beba- quella degli sberleffi ai granatieri- ed in quell'occasione si era trattato di una visita frettolosa perché avevano visto solo i luoghi più importanti,quelli che si potevano vedere in soli tre giorni, che poi erano dovute ripartire perché erano finiti i soldi. Si ricordava ancora con emozione quando avevano lanciato dal finestrino del treno in corsa che le riportava in Italia l'ultimo franco  rimasto, tra gran risate e  azzurre volute di  Gauloise.

 

   La seconda volta era stata sette anni addietro, quando il marito le aveva annunciato con tono magnanimo "Quest'estate andiamo una settimana a Parigi!". Marina aveva preparato con cura meticolosa la sua grande valigia di tela verde, col cuore che le balzava in petto dalla felicità. Avrebbe rivisto il Louvre e Notre-Dame e la Tour Eiffel! Poi sarebbe certamente ritornata in Rue de l'Université a cercare quell'alberghetto di terza categoria dove aveva alloggiato vent'anni prima con la sua amica Beba - ma erano poi solo venti gli anni trascorsi? Le sembravano così lontani ora, a volte quasi non  vi si riconosceva più, come spesso succede riguardando certe vecchie,  buffe fotografie, di piccolo formato, in bianco e nero ed  anche un po' ingiallite dal tempo, e ti sembrano le foto di un'altra persona , mentre una specie di oscura dolorosa intuizione  dell'anima  si ostina a ripeterti che quella persona eri tu.

Quella volta la sfortuna aveva voluto che alla vigilia della partenza  si fosse indisposta ed aveva passato quattro dei sette giorni di vacanza a letto, causa un imprevedibile peggioramento della situazione. Per fortuna  dalla finestra dell'albergo si vedeva la cattedrale di Notre-Dame e, abbassando di poco lo sguardo, si potevano scorgere i vicoletti della Rive Gauche formicolanti di vita; ed  anche, proprio  di fronte ai giardinetti, che s'interponevano tra l'arteria principale che costeggiava la Senna ed il quartiere latino, quale bastione estremo delimitante il centro multicolore del caratteristico quartiere, quell'antico e famoso negozietto di libri chiamato Shakespeare Company, di poche pretese ma fornitissimo di tutte le novità letterarie, dove aveva subito acquistato un libro di poesie.

 

   Solo il quinto giorno aveva potuto visitare Parigi, ed  allora aveva rivisto, con il cuore che le sobbalzava nel petto per l'emozione e la gran felicità,  le opere più famose esposte al  Louvre, e quella avveniristica galleria d'arte ricavata da una vecchia stazione ferroviaria, dov'erano esposti tutti i suoi amati pittori impressionisti, e poi Montmartre ed i Champs-Élysées, facendo infine una lunga sosta al "Café Les Deux Magots", dove aveva passato un pomeriggio intero, l'ultimo prima della partenza, assaporando l'odore del sole che si mescolava al forte aroma del caffè.

 

   Tuttavia dopo quel "tour de force", che in tre giorni miracoli non se ne potevano fare, le era rimasto dentro un gran desiderio di ritornare, di approfondire, ma il marito nemmeno a parlarne. C'erano già stati a Parigi, non se lo ricordava? Ed  allora giù ad accarezzare la valigia,  a fare mille progetti e timidi accenni di ribellione che finivano sempre miseramente nel più silenzioso dei silenzi alla prima occhiataccia del consorte; ed in quei momenti così lieve un pensiero la sfiorava, come chi ha una pena, un pensiero ,uno stato d'animo  che lo perseguita ma non trova  il coraggio di porvi termine accettandone le conseguenze, e si ostina a considerare lo stato in cui si trova come come il minore dei mali.

Gli anni passavano, la valigia, sebbene accudita con cura, si incartapecoriva, mentre gli aerei sfrecciavano sempre più numerosi nel cielo, sopra la casa di Marina, che si ritrovava, anche dopo tanti anni che vi abitava, a guardarne le scie luminose svanire lentamente nel cielo, mentre il rumore dei jet, dapprima assordante, si attenuava piano piano fino a svanire.

 

   Ma erano gli aerei della notte, quando tutto intorno taceva, a rallegrarla maggiormente. La assaliva in quelle ore notturne, quando le voci della casa si spegnevano ad una ad una, come un ansito, un fervore, mentre assaporava le tenebre che tutta l'avvolgevano estraniandola dal mondo delle cose banali di cui erano fatte le sue giornate. Amava la notte, la sentiva amica ed a lei congeniale, ne apprezzava il colore ed il silenzio.  In essa ritrovava se stessa, si sentiva  finalmente libera da incombenze e  da doveri, e- perché no- anche dalle persone che pur amava,  libera di sognare e fantasticare a suo piacimento, fino a che il sonno non la vinceva.

 

   Si sedeva nel suo angolo preferito,per terra  accanto alle piante di gerani, a gambe incrociate e con il naso rivolto all'insù. Tra i rami degli ulivi del giardino sottostante apparivano buchi di cielo color inchiostro, un odore di salmastro le solleticava le narici  soprattutto nelle notti in cui il mare poco distante era agitato, e nel  tepore delle notti estive o nel freddo di quelle invernali, pensava. Cos'importava, cos'importava se era tutto frutto della sua insaziabile fantasia, con quel cielo da contemplare dal basso e la notte tutta sua! Allora la gioia di immaginarsi a bordo degli aerei che puntuali apparivano nel cielo  le pareva più grande, e, complice l'ora notturna, poteva abbandonarsi alle fantasticherie più ardite. Probabilmente l'aereo delle ventuno era quello che arrivava da Roma, lo aveva preso una volta il marito e glielo aveva riferito, mentre verso le ventidue sfrecciava sulla sua testa l'aereo proveniente da Londra, il giornaliero, quello che si era annotato diligentemente nella sua agenda. Quello delle ventitre e dieci era sicuramente un quadrigetto, lo si capiva dal sibilo acutissimo, veniva probabilmente da luoghi lontani, chissà, forse da New York o Osaka o Valparaiso. Allora Marina si accendeva una sigaretta e, nel buio della notte, da cui si sentiva coccolata quasi più che protetta, si rannicchiava nel suo angolo tra le piante di gerani e guardando il cielo sognava.

 

   Di giorno gli aerei si udivano meno, non ci si faceva caso, con tutti i rumori che riempivano la casa, ma allora  a solleticarle la fantasia c'erano le navi, che Marina prima  intravvedeva dalla  piccola finestra della cucina, e poi lesta lesta  spostandosi nel soggiorno, rivedeva dalla grande vetrata, solo per qualche attimo- che lo spicchio di mare era esiguo-  maestose passare col loro carico prezioso.

Erano per lo più navi da crociera, il traffico marittimo si era talmente impoverito negli ultimi anni nella città di mare in cui abitava, che quasi tutte le compagnie avevano puntato sul turismo, riconvertendo a questo scopo le loro navi e quando esse passavano emettevano spesso un suono rauco profondo, dai toni bassi, quasi la salutassero e la invitassero a raggiungerle.

Una volta le era persino sembrato di vedere un'affollarsi di teste sul ponte di comando e delle braccia che si allungavano nel gesto festoso di saluto proprio di chi parte per una vacanza. Naturalmente era tutto frutto della sua immaginazione, che le giocava  a volte dei brutti scherzi: le navi infatti erano troppo lontane per poter scorgerne altro se non la sagoma stagliata contro l'azzurro od il grigio del cielo, a seconda della stagione.

 

   Anche il treno era per Marina una fonte di gioia ed uno stimolo per la sua fantasia. Si ricordava  del piacere intenso, quasi fisico che le aveva procurato sin da bambina, la vista od anche solo il rumore di un treno. Ancora adesso quando passava in macchina lungo l'autostrada laddove  si poteva intravvederne la lunga sagoma  che si snodava sfrecciando veloce tra una galleria ed un'altra, Marina si ritrovava ad indicarlo festosa al marito esclamando"Guarda, il treno !", mentre il consorte si girava a guardarla come se fosse una bambina scema. Eppure Marina si accontentava di poco, le bastava vedere un treno perché le si accendesse di nuovo la fantasia ed un calore, un senso di eccitazione la percossero tutta: anche lo sguardo  diventava diverso, non più triste ed immalinconito, ma allegro, pieno di entusiasmo, giovane insomma.

 

   Le stazioni poi la esaltavano col loro perenne andirivieni di viaggiatori, con gli auto parlanti che scandivano forte messaggi, con le voci che si rincorrevano sulle  scale mobili affollate da persone e valigie, con le biglietterie da cui si allungavano lunghe code di gente in attesa di partire.

Si partire, partire... da una stazione, da un aeroporto, da uno scalo  marittimo, partire, partire... pensava Marina, accarezzando la sua preziosa valigia tra una faccenda e l'altra, mentre spostava i mobili per pulirvi bene al di sotto, dove la polvere subdolamente si annidava, o lavava i vetri nel soggiorno ed intanto adocchiava il mare se per caso all'orizzonte fosse spuntata qualche nave.

 

   Ma se proprio avesse potuto scegliere, lei con la sua preziosa valigia sarebbe partita da un aeroporto. Era infatti quello il luogo fra i tanti che prediligeva in assoluto, quello che la rallegrava di più.

Non poche volte vi si era recata da sola, quasi di nascosto, sottoponendosi a lunghe code estenuanti  e trascorrendovi poi delle ore felici seduta nel bar dalle immense vetrate prospicienti la pista, estasiandosi a guardare i grossi jet atterrare ed ancor più nel vederli partire, quando si proiettavano nel cielo altissimo come grandi uccelli argentei dalle ali spiegate, portandosi via sempre, immancabilmente, un pezzettino del suo cuore. Marina li seguiva con lo sguardo prima avviarsi lentamente sulla pista, poi, sempre più rapidi, prendere velocità ed infine svettare  verso l'alto ed allontanarsi lentamente, con  un gran frastuono  di motori che andava pian piano affievolendosi sino a che non sparivano del tutto oltre il confine dell'orizzonte.

 

   Non aveva paura di volare Marina e se appena avesse potuto tutti li avrebbe presi quegli aerei atterrando in paesi lontani e ripartendone ,dopo averli visitati, verso altri ancora più lontani, sempre su nuovi aerei, prendendone uno dopo l'altro, che di tanti, tantissimi avrebbe salito e ridisceso la scaletta, o, forse, chissà, sarebbe entrata direttamente nella pancia di uno di essi, da un passaggio interno dell'aeroporto come le aveva  raccontato una volta  una sua amica tornata da Londra.

Per ora, si per ora, si accontentava di guardare, ma un giorno, quando i figli fossero cresciuti e la casa non avesse più richiesto la sua costante e devota presenza, allora sì anche lei sarebbe partita, unendosi a quella folla di viaggiatori sempre in movimento ed in giro per il mondo, divenendo così parte integrante di quel mondo, il del mondo dei suoi sogni.

 E finalmente, dopo tanto aspettare, venne il giorno della partenza. I figli erano grandi, il marito meno ostinato, la casa non aveva più bisogno di lei e Marina poteva ora  partire.

 

   Fece la valigia con cura meticolosa, vi inserì alcuni libri tra quelli che le erano più cari, maglioni pesanti e vestiti leggeri, la valigia era spaziosa e lei sarebbe stata via a lungo, almeno due mesi, per visitare tutti quei luoghi di cui aveva così a lungo sognato.

 Si vestì con cura, calzò un paio di  comodi mocassini  senza tacco, perché ormai gli anni, dopo tanto aspettare, non erano più verdi. Chiamò  un taxi che la portasse all'aeroporto e fece per sollevare la sua amata valigia che faceva ancora la sua bella figura, sebbene il colore verde si fosse sbiadito nel corso degli anni. Come lei stessa d'altronde, pensò Marina, con un moto di stizza come sempre le succedeva ultimamente quando pensava alla sua età e soprattutto dopo tutto quel tempo perso ad aspettare pazientemente di poter partire.

 

   Di scatto fece per sollevare la valigia e si accorse ad un tratto, con suo  sommo stupore, che era diventata troppo pesante. O lei troppo fragile per tutto quel peso. Sta di fatto che non riuscì a sollevarla nonostante tutti i suoi sforzi. Mentre si accaniva contro l'oggetto dei suoi desideri, che, anche se fornito di rotelle, doveva pur essere sollevato per superare i due gradini della soglia, lo sguardo le cadde nello specchio dell'ingresso. In esso si rifletteva l'immagine di una donna esile, decisamente non più giovane, grigia di capelli e dall'aria incerta e spaurita.

Era lei, Marina, che nell'attesa si era come consumata. Era invecchiata, senza accorgersene, proprio come la sua valigia di tela verde. Aveva lasciato che la  vita le scivolasse accanto, commettendo  l'errore più grave, il  più imperdonabile, quello di limitarsi a sognare come avrebbe potuto essere la sua esistenza anziché viverla, ed ora era troppo tardi.

Ripose la valigia trascinandola lentamente verso l'armadio a muro, dove di posto ce n'era a volontà, come d'altronde ce n'era sempre stato. Poi lentamente, con passo improvvisamente stanco, attraversò la grande casa oramai vuota e si diresse nello studio: estrasse dal cassetto la macchina da scrivere ed iniziò a narrare la sua storia, perché servisse di insegnamento a donne più giovani di lei, che non avessero a commettere il suo stesso tragico ed imperdonabile errore.

 

 
 

 

 

COME AFFRONTARE DONNA

E USCIRNE ALLA GRANDE

di Marisa Vidulli

 

 ...SORRIDENDO CON I 12 SEGNI ZODIACALI... 

AH, LE DONNE… Istruzioni per soli uomini……

INTRODUZIONE

 

A parte il titolo un po’ vago, questo libro potrebbe rivelarsi di valido aiuto a voi uomini per la conoscenza della vostra partner.

Le donne ,non sempre ma talvolta si ammettetelo ,con buona pace di voi tutti, vi impauriscono e se non proprio così,  spesso vi intimidiscono , però non ne potete fare a meno questa è una realtà di fatto. Sfido chiunque  a smentirmi!

Come pure è una realtà di fatto che le femmine dell’ultima generazione non siano più quelle di una volta: grintose, per lo più indipendenti finanziariamente, competitive, vi danno spesso del filo da torcere .

Addio femmina sottomessa, dolce e gentile ,che pende dalle vostre labbra e si beve ogni storiella vi passi per la mente di raccontarle - queste erano le vostre mamme se non le vostre nonne;

ora le donne hanno tirato fuori le palle, da sempre vostro specifico attributo, e se le giocano alla grande.

Quindi se volete avere una pur minima chance di conoscerle meglio ed affrontarle, non dico alla pari, ma almeno prendendole dal verso giusto, aggirandone  asprezze e spigolosità ed approfittare invece dei loro punti deboli- tranquilli tutte ne hanno -, giocando come si suol dire, per usare il vostro gergo, una partita in casa, leggetevi questo manuale.

 

Potrebbe essere ricco di sorprese e chissà mai potreste anche ringraziarmi ad accoppiamento avvenuto.

Se è vero, come dice il proverbio, che è meglio essere soli che male accompagnati è anche sicuro

che la solitudine non piace a nessuno, d’altro lato però è vero che di "accompagnamenti", chiamiamoli  così, sbagliati ce ne sono a decine sotto i nostri occhi, anzi sarebbe forse più semplice contare le rare mosche bianche che hanno avuto la fortuna di accoppiarsi felicemente.

Per non commettere errori irreparabili e tentare di fare quindi parte di quello sparuto gruppo di privilegiati, o, se l'errore l'avete già commesso, per salvare il salvabile date un'occhiata alle pagine di questo manuale e traetene le debite conclusioni, comportandovi di conseguenza.

 

Una raccomandazione: non prendete tutto per oro colato - infatti alcune donne escono

più malconce di altre dai rispettivi ritratti, ma non è poi detto che sia così sempre, molto dipende dal quadro astrale della tizia in questione, ed io come facevo a conoscerlo quello della vostra lei?

L'astrologia, insomma, è una cosa seria e questo è solo un manuale irriverente che tuttavia potrebbe facilitarvi non poco le cose il giorno in cui  decideste che con la vostra ”preda” valga la pena di tentare una storia per la vita.

 

              Come leggere questo manuale

 

Con grande concentrazione e molta umiltà. Noi donne siamo più forti più brave più pazienti più tutto, non per niente abbiamo quella famosa “x” in più nel nostro D,N,A.,ed è questo che ci salve dalle vostre malefiche- non sempre a dir il vero- grinfie, noi riusciamo infatti a fare più cose contemporaneamente là dove voi quando ne fate una è già tanto se la portate a termine, che la facciate bene e soprattutto non la facciate pesare,per la faticaccia che vi è costato farla.

Ho scritto questo manuale anche e soprattutto per aiutarvi a trovare la vostra metà ,che  stare da soli non è divertente, anche se qualcuno di voi avrà da obiettare che lui da solo ci sta benissimo.

Contento lui!Il problema è trovare la metà giusta che di sbagliate scommetto che ne conoscete a bizzeffe.

 

Per ogni donna dello zodiaco ho cercato di fare un ritratto esauriente, anche se qualche volta ho calcato un po’ la mano nei vostri confronti non abbiatevene a male, per farmi perdonare vi ho anche –udite, udite- indicato in ogni capitolo 10 modi per sbarazzarvi della donna in questione, se è il caso si intende.

A posteriori mi sono accorta che alcuni segni sono stati più maltrattati di altri: pazienza vuol dire che con quelle femmine farete più attenzione e non potrà venirvene che del bene.

Noterete anche che a volte i concetti vengono ribaditi più volte, non importa: io che vi conosco, so che per farvi entrare in testa certi concetti bisogna ripeterveli più volte e poi lo dicevano anche i  latini che” Repetita iuvant ” o no?

L’importante è che stiate ad ascoltare e per esperienza so che di solito non lo fate, quindi spero proprio che non siano tutte parole buttate al vento le mie.

 

BUONA LETTURA

 

PICCOLO PRONTUARIO DI PRONTO SOCCORSO :

 

A cui ricorrere solo in caso di emergenza, oppure se andate di fretta e non avete il tempo di leggere

tutto quanto il manuale  od anche - perché no? -  per andare a colpo sicuro, vedete voi......

  

1 - TRATTARLE CON DELICATEZZA, USARE CON PARSIMONIA,

        POTREBBERO CONSUMARSI: DONNE  BILANCIA E VERGINE

2 - MAI ABUSARE DELLA LORO PAZIENZA:  DONNE TORO

3 - TRATTARLE CON CAUTELA PER EVITARE POSSIBILI DEFLAGRAZIONI:

        DONNE ARIETE E LEONE

4 - TRATTARLE CON CAUTELA ESTREMA ONDE EVITARE DEFLAGRAZIONI

        DI TIPO ATOMICO E CONSEGUENTI DANNI IRREPARABILI: DONNE SCORPIONE

5 - MANEGGIARE COME VI PARE, SE NE FREGANO ALLA GRANDE: DONNE GEMELLI

6 - TRATTARE CON NONCURANZA ONDE INCURIOSIRLE:

        DONNE ACQUARIO E SAGITTARIO

7 - MANEGGIARE CON FORZA, FACENDO POSSIBILMENTE LEVA

        SU QUALCOSA DI SOLIDO CHE VI SOSTENGA ONDE EVITARE IL CONTRACCOLPO: 

        DONNE CAPRICORNO

8 - TRATTARLE METTENDOCELA TUTTA: HANNO UN CARATTERINO!DONNE CANCRO

9 - DA NON PERDERE MAI D'OCCHIO, SE NO NON LE TROVATE PIU’: DONNE PESCI

10 - E poi ricordate che il fine in questi casi, è proprio il caso di dirlo, giustifica i mezzi, quindi usate tutti i metodi - più o meno leciti -  che la vostra immaginazione vi suggerisce nel trattare le dodici pulzelle dello zodiaco.

 

                         Index

Introduzione

Due parole serie

Come leggere questo manuale

Piccolo prontuario di pronto soccorso

Cap1

La donna Ariete

Il ritratto

Istruzioni per la sopravvivenza

accoppiamenti

Cap2

Donna Toro

Idem come sopra

Cap3-4-5-6-7-8-9-10-11

Donna Gemelli, Cancro, Leone, Vergine,

Bilancia, Scorpione, Sagittario, Capricorno Acquario

Idem

 Cap12

Donna Pesci

idem

 Bibliografia

 

       Donna                   Ariete                            

                    

 

(21 marzo - 20 aprile, segno di fuoco, domicilio di Marte)

 

elemento: fuoco, qualità: cardinale, tratto predominante: intuizione

motto:" LA Prima sono Io", canzone: "Come me non c'è nessuna, sono unica al mondo

 

QUALITA': possiede fierezza, dinamicità, creatività, forza, tenacia, spontaneità ed intelligenza.

Aperta, franca, si sa meravigliare davanti al creato.

Sicura di se, attiva e non contemplativa, originale, pioniera, idealista.

Combattiva e grintosa sa battersi fino allo stremo se necessario.

Crede fermamente in se stessa ed accetta malvolentieri i consigli altrui.

 

DIFETTI: è poco introspettiva, a volte pecca di superficialità.

Facilmente esce dai gangheri - leggi irascibile e spesso bellicosa,

intollerante, gelosa, possessiva, poco flessibile, accentratrice ,

ostinata, impulsiva: non pensa quasi mai prima di agire.

Ha desiderio di dominio e sete di onnipotenza.

Può anche essere insensibile alle esigenze altrui se troppo presa di se, a volte egoista.

Non sa imparare dagli errori commessi e, sovente, persiste nel suo comportamento ostinato.

Migliora con l'età.

 

IL RITRATTO

 

Di solito di carattere estroverso questa donna ama galoppare il destriero della vita con slancio ed impulsività. Il suo passo è il galoppo, non il trotto; testarda ed ostinata necessita ed ambisce all'approvazione altrui.

Vulcanica, coraggiosa, fiera e dinamica  possiede innumerevoli qualità ed altrettanti difetti tra cui spiccano la superficialità e l’irascibilità.

 

Inoltre dal momento che crede fermamente in se stessa , e questo sarebbe un bene se non fosse oscurato dal fatto che accetta malvolentieri i consigli altrui anche quando le vengono dati per il suo bene, perché ne ha combinata una delle sue. E’ Per natura impaziente sa però essere tenace all'occorrenza come pure ama spadroneggiare sia della sua vita che di quella degli altri, in questo caso la vostra, ma badate bene sempre con il segreto intento di proteggervi.

Innocente e spontanea a volte rasenta l'ingenuità, mentre la falsità raramente si annovera tra i suoi difetti - ma non scordate che c'è sempre l'eccezione che conferma la regola.

 

Il suo atteggiamento positivo nei confronti della vita è spesso contagioso, mentre il suo amore per la libertà - la sua - la  rende incline sovente a tenere poco conto di quella altrui.

Mai troppo seriosa, sa, più delle altre 12 donne dello zodiaco, meravigliarsi e gioire dei vari aspetti della vita come il fanciullino di pascoliana memoria.

Il segno a cui appartiene è il simbolo della rinascita della natura dal torpore dell'inverno, la sua stagione è la Primavera con la sua luce ed il suo risveglio,

il meriggio assolato non le si addice come pure poco la attraggono i misteri e le tenebre della notte.

Ostinata ed accentratrice, raramente lascia la sua preda, sia essa obiettivo da perseguire o maschio da conquistare.

La sua poca flessibilità unitamente alla tendenza all'irascibilità ne fanno, a volte, una donna a cui non è sempre facile vivere accanto, anche e soprattutto perché sembra persistere in lei il testardo orgoglio giovanile di chi non vuole mai ammettere di avere torto.

Odia la routine, ogni giorno è per lei un nuovo giorno da vivere intensamente e, a volte, pericolosamente

 

ISTRUZIONI per la SOPRAVVIVENZA

 

Carissimi maschietti il giorno in cui doveste incappare in questa femmina vi verrà voglia di scappare a gambe levate, ma non subito, dopo averla conosciuta bene; ma poi ci ripenserete, “quando?” direte voi, ma dopo una notte di infuocata passione naturalmente .

 

Questa donna infatti appartiene alla triade dei segni di fuoco e come le sue compagne leone e sagittario a letto prende fuoco.

Bisogna vedere se voi vorrete accettare i suoi numerosi difetti, ma anche le sue pregevoli qualità, di solito ben nascoste, in nome di tanta passione.

E’ bene non contrariarla mai ,prende fuoco facilmente e e vuole sempre avere l’ultima parola, il suo coraggio è leggendario come pure la sua grande irascibilità in questo compete il primato alla donna scorpione il che è tutto dire.

Dato che la caratteristica che la contraddistingue è quella di essere molto attiva non mostratevi mai pigri o pantofolai e fingete almeno di starle dietro perché farlo per davvero essere vulcanici al pari di lei è quasi impossibile ameno che non lo siate anche voi .

A proposito di che segno siete? Andate subito a vedere nel capitolo dedicato alle relazioni se siete compatibili altrimenti scordatevela e non imbarcatevi nemmeno in questa improba avventura ne va della vostra stessa sopravvivenza.

 

E’ infatti una femmina forte, passionale, prepotente e cocciuta, irruente ed un po’ enigmatica quel tanto per suscitare la vostra curiosità, una “tosta” che può darvi veramente del filo da torcere, carissimi, se non lo prendete per il verso giusto, ammesso e non concesso che riusciate ad indovinare quale esso sia, e non sempre vi sarà facile scoprirlo.

L'arma della lusinga e dell'adulazione, da sempre le più efficaci nei confronti di ogni donna, funzionano poco in questo caso perché non si tratta di un tipetto particolarmente narcisista o vanitoso, e non vi sarà nemmeno facile conquistarla dandole  l'impressione di volerle donare la vostra maschia protezione: è una che sa proteggersi da sola lei!

Non cercate mai di affrontarla ad armi pari,  ne uscireste sicuramente malconci.

Datele piuttosto l’impressione di essere il suo Tarzan e lei la vostra Jane, ma senza esagerare mi raccomando, è una donna che ama conservare la propria indipendenza.

 

E' testarda ed ostinata come poche; la sua forte personalità, priva - quasi, ma non del tutto!

- di quel tocco di umana comprensione, di cui sono invece forniti altri segni altrettanto forti, tenderà a schiacciarvi senza alcuna pietà, facendo di voi delle polpettine se non mettete le cose ben  in chiaro fin dall'inizio, e ciò che anche voi ne avete una - di personalità - e non intendete abdicarvi né per amor suo né per qualunque altra ragione.

Lasciate sempre aperto tuttavia un ragionevole spiraglio da cui si intraveda che siete assolutamente convinti che quella che porta i pantaloni è lei. Ricordatevi che la donna ariete deve avere per forza questa illusione: solo così il rapporto a due potrà funzionare.

Spesso questo lato della sua personalità è talmente invadente da farle dimenticare anche le buone maniere quindi se avete delle rimostranze da fare meglio spedirle una lettera, un fax o, se preferite, lasciatele un messaggio sulla segreteria. telefonica.

L'importante è che non siate a portata di mano o d’orecchio per subirvi le sue rimostranze.

 

Poi diventate uccel di bosco per un periodo di tempo ragionevole, fin che non le passa.

Trattasi quindi di un esemplare di donna da maneggiare con cautela, potrebbe esplodervi tra le mani quando meno ve l'aspettate, e, dal momento che è molto coraggiosa, ma scarsamente diplomatica, vedete di supplire voi: solo così avrete qualche chance di uscire indenne da un'accesa discussione, se proprio non vi è possibile evitarla… Ama l’indipendenza e la libertà in maniera direi esasperata, però è gelosissima un bel controsenso non vi pare ?

In altre parole: lei ha il sacrosanto diritto di essere gelosa, VOI NO. Ma siccome è molto curiosa vi consiglio di non rivelarvi mai del tutto

e di conservare una parte di mistero per tenerne sempre desta la curiosità. e fare colpo su di lei.

 

Ma, una volta conquistata, non  date nulla per scontato.

E' una donna che difficilmente perdona, detesta la menzogna- la vostra- e non chiede mai, ma proprio mai, scusa.

Armatevi di tanta pazienza e siate ben consapevoli del suo carattere, che non ama le mezze misure, si spezza ma non si piega, e, siccome la verità stà quasi sempre nel mezzo e gli atteggiamenti estremi raramente hanno buon esito, mettetevi ben in mente che avete a che fare,

cari maschietti con  una donna che anche quando sa benissimo di avere torto marcio- e le succederà spesso, come a tutti noi comuni mortali -  non è disposta ad  ammetterlo nemmeno sotto tortura.

Stà  quindi a voi vedere se vale la pena di imbarcarvi in una tale avventura,

 

La passionalità è garantita, se è questo che cercate, ma, quanto al resto, è tutto da vedere.

In compenso questo bell’esemplare di donna  non è privo di qualità anche notevoli: tanto per cominciare è coraggiosa ed essendo anche un tipo bellicoso per natura - per di più dotata di un individualismo spinto all'eccesso -  non si arrende mai davanti alla sconfitta.

Questo potrebbe andare anche bene, vi potrebbe infatti dare un valido supporto nei momenti difficili che prima o poi nella vita arrivano sempre, ma il guaio è che non impara mai dagli errori commessi, e questo decisamente non depone a suo favore.

 

Sa però sacrificarsi, ma solo per chi ama profondamente e ritiene degno del suo sacrificio.

Se siete voi il prescelto ve ne accorgerete subito. Forse il suo più grande difetto è la mancanza assoluta di diplomazia e ponderazione.

Attacca infatti sempre frontalmente a testa bassa, come l'animale che simboleggia il suo segno, senza  tentare minimamente di raggirare l'ostacolo.

Quindi vedete, in questi casi, di non trovarvi sulla sua strada, potrebbe non accorgersi nemmeno di voi.

 

Cosa - PROBABILMENTE - vi darà

 

Competizione perché grande è il suo desiderio di dimostrare che lei è la prima in tutto

Sesso a volontà, infatti la donna ariete è una delle più calde dello zodiaco, sta a voi scoprirne le zone e le modalità di cottura, la sua

Eccessi in tutti i campi, difficilmente infatti conosce il senso della misura

Molte polemiche ed un accanimento tenace, infatti non si arrende mai.

Da tenere bene a mente nel caso la voleste mollare in quest’ultimo caso è molto meglio deluderla ripetutamente e fare in modo che vi lasci lei

Giochetto vecchio come il mondo in cui voi siete maestri ma che stiamo finalmente imparando anche noi!

La sua protezione, nel caso ne abbiate  realmente bisogno, o facciate solo finta: è molto disponibile in questo senso , quindi sappiatevi regolare. 

 

Il suo coraggio: infatti la donna Ariete è uno dei segni più coraggiosi dello zodiaco.

Non solo si atteggia a dura ma spesso lo è veramente, salvo poi crollare se trovate il suo punto debole.

Di solito il suo tallone d'Achille è la voglia di dimostrare di essere lei la prima in tutto - assieme al sesso, altro suo punto debole.

Provate a combinare ambedue e se vi impegnerete a fondo la vedrete vacillare.

A quel punto il gioco sarà solo in mano vostra.

 

Passione e sesso a vagonate ed eccessi in tutti i campi: non sa cosa sia il senso della misura.

Se è  questo che cercate - il senso della misura- dovete ripiegare su di un altro segno più equilibrato.

 

Molte polemiche ed un accanimento tenace: non si arrende mai - da tenere a mente se la volete mollare.

In quest'ultimo caso infatti è meglio deluderla e fare in modo che vi lasci lei. Provate in tal caso a dirle:

"Non credo, ahimè, di meritarti!", può darsi che funzioni, ma urlateglielo a distanza o, meglio, lasciateglielo inciso sulla segreteria telefonica, non si sa mai la reazione che potrebbe avere.

 

Cosa - SICURAMENTE - non vi darà.

 

Smancerie, la possibilità di essere troppo indipendente da lei e.......... l'ultima parola!

L’impressione di voler essere da voi protetta:ce la fa da sola LEI

la possibilità di godere del “ dolce far niente”, se per caso voi vi foste per natura portati , lei ve la farà rapidamente scordare

 

A cosa - NON RINUNCERA' MAI - per voi

 

Ad essere dispotica ed al suo lavoro, che difenderà e perseguirà sempre con grande ostinazione, ma raramente con senso dell'equilibrio.

A comandare e ad essere dispotica che poi son la stessa come si sa “repetita iuvant” e voi ve lo dovete mettere ben in testa al suo iperattivismo

 

Che - AMANTE - sarà

 

Sana e passionale, ma anche aggressiva, spesso permalosa ed alquanto litigiosa: insomma preparatevi a delle notti infuocate in tutti i sensi.

Irruente ed un pò enigmatica: quel tanto che basta per suscitare la vostra curiosità, perché poi, una volta conosciutola, questa femmina è un libro aperto, che non conosce i giochetti subdoli  in cui sono maestre molte tra le donne degli altri segni.

 

Cosa - SICURAMENTE - vi chiederà

 

Obbedienza cieca ad assoluta sempre. Mettetevi il cuore in pace o gliela concedete, ed allora tutto filerà liscio come l'olio, o non gliela concedete, ed allora saranno cavoli vostri.

Il campo libero per primeggiare da sola, mentre a voi sarà concesso di brillare solo di luce riflessa. Se vi basta........

Di darvi una mossa se tendete- non sia mai- alla pigrizia!

 

Nota Bene.

Ricordate, tuttavia, che per una conoscenza più esatta della donna  in questione è essenziale conoscere la posizione dei pianeti quando lei ha emesso il primo vagito, quindi, se volete saperne di più, fatevi dire ora e luogo di nascita e poi recatevi al più presto - questo dipende da quanto questa femmina vi attizza - a farvi  tracciare il suo quadro astrale. Se poi la cosa risultasse troppo complicata - o voi riteniate che non valga la pena darsi tanto da fare - fatevi almeno due calcoli da soli per conoscere  il suo ascendente, particolare di grandissima se non decisiva importanza.

Tenendo però presente che ancor più che l’ascendente ha importanza la decade in cui si è nati : la 1, la 2 o la 3 se poi si è nati sulla cuspide  cioè tra il finire di un segno e l’inizio di un altro, ad esempio il21 marzo, si partecipa della natura del segno precedente ,non si è puri,  cioè l’Ariete in questo caso risentirà in parte del segno dei Pesci che lo precede è non sarà un ariete puro.

 

Infine” Last but not least”*come dicono gli anglosassoni, ecco un piccolo prontuario nel caso che dopo averla conosciuta bene decideste che di questa donna volete sbarazzarvi perché il gioco non vale la candela o per mille altre ragioni, ma sempre con grazia e lievità mi raccomando, niente truculenza!

* ultimo ma non per questo meno importante

 

 Come sbarazzarsi della donna ARIETE

1 - inondatela di consigli non richiesti , tipo:” se fossi al tuo posto io ci penserei non una ma mille

        volte prima di agire” o peggio ancora “ dovresti chiedere consiglio a mia madre,

        lei sa ponderare bene prima di agire

2 - casualmente con nonchalance fatevi sfuggire la frase” adoro sin da piccolo essere io

        a decidere e tenere in pugno la situazione

3 - fatele capire che la vostra libertà viene prima di tutto poi partite per un viaggio in Alaska,

        da SOLO

4 - non concedetele Mai l’ultima parola, chiudendo ogni discorso  con un sonoro”

        QUI son io che decido “

5 - Disapprovate ogni cosa che fa scotendo la testa e ripetendo fino alla nausea la frase”

        te l’avevo detto IO”

6 - Quando sbaglia non giustificatela mai e non proponetele alternative per rimediare

7 - Trasformatevi in un pantofolaio e rifiutatevi categoricamente di seguirla

        nelle sue imprese spericolate . Ogni tanto soffocate uno sbadiglio e suggerite di passare

        i fine sistemare a sistemare le parti rotte della casa, ce n’è sempre qualcuna: esigete il suo aiuto

8  - chiamatela Cita ed asserite convinto di essere Tarzan, lei deve solo porgervi la liana

9 - diventate vegetariano ed opponetevi ad ogni suo tentativo di dissuadervi

10 - Fate sparire la sua attrezzatura da trekking possibilmente la vigilia della Sua  competizione 

        a cui si prepara da mesi

      

 ACCOPPIAMENTI  CON gli UOMINI APPARTENENTI A CIASCUNO DEI 12 SEGNI ZODIACALI

 

Premessa.

 

Gli elementi su cui si basa la cosiddetta astrologia di relazione vanno considerati sempre nella loro globalità, per poter dare un'indicazione che abbia un qualche senso:  tenete quindi  presente che i suggerimenti che seguono vanno presi sempre in linea di massima e con un pò di ironia.

Certo è vero che, in teoria, le coppie appartenenti a segni zodiacali tra di loro complementari dovrebbero durare di più e meglio.

Tuttavia, anche le altre possono durare nel tempo, ma fanno molto più fatica. Non dimenticate poi che c'è sempre l'eccezione che conferma la regola.

Ed, infine, tenete bene a mente quanto detto nell'introduzione -  parte seconda -  che sono parole sacrosante!.

 

Naturalmente fatte salve le posizioni di Venere e di Marte come oramai ben sapete infatti per una conoscenza più esatta della donna in questione essenziale conoscere la posizione dei pianeti quando lei ha emesso il primo vagito, quindi, se volete saperne di più, fatevi dire ora e luogo di nascita e poi recatevi al più presto - questo dipende da quanto questa donna vi attizza - a farvi  tracciare il suo quadro astrale. Se poi la cosa risultasse troppo complicata - o voi riteniate che non valga la pena darsi tanto da fare - fatevi almeno due calcoli da soli per conoscere  il suo ascendente. Nota Bene.

 

Ricordate, tuttavia, che per una conoscenza più esatta della donna  in questione è essenziale conoscere la posizione dei pianeti quando lei ha emesso il primo vagito, quindi, se volete saperne di più, fatevi dire ora e luogo di nascita e poi recatevi al più presto - questo dipende da quanto questa femmina vi attizza - a farvi  tracciare il suo quadro astrale. Se poi la cosa risultasse troppo complicata - o voi riteniate che non valga la pena darsi tanto da fare - fatevi almeno due calcoli da soli per conoscere  il suo ascendente, particolare di grandissima, anche se non decisiva, importanza.

Tenendo però presente che ancor più che l’ascendente ha importanza la decade in cui si è nati : la 1, la 2 o la 3 se poi si è nati sulla cuspide  cioè tra il finire di un segno e l’inizio di un altro,

ad esempio il 21 marzo, si partecipa della natura del segno precedente ,non si è puri,  cioè l’Ariete in questo caso risentirà in parte del segno dei Pesci che lo precede è non sarà un ariete puro

 

 

Con gli uomini appartenenti ai segni di fuoco: Ariete, Leone e Sagittario.

 

FUOCO e Fuoco: i due elementi a confronto.

Un vero incendio!!!

Ariete

Se eviterete lo scontro frontale potrebbe anche non finire a cornate

LEONE

Potrebbe essere ma dovete abbassare la cresta e venirvi incontro reciprocamente

SAGITTARIO

Troppo "sciupafemmine" voi e troppo gelose le donne artesiane

 

         FUOCO e Terra: i due elementi a confronto.

 

Il fuoco divampa sulla terra, ma spesso lascia dietro di sé terra bruciata e cenere. Leggetevi con attenzione quanto segue e traetene le debite conclusioni.

I segni di terra non possono accettare nulla che non sia confermato dalla testimonianza dei sensi, che sono cinque e tali devono restare.

I segni di fuoco, tanto per cominciare, non sono poi così sicuri che i sensi siano cinque, ne potrebbero sempre sviluppare o scoprire un sesto all'occorrenza - e già questo la dice lunga sulla differenza tra i due elementi Inoltre le visioni più sregolate, più grandiose e più fantastiche sono pane quotidiano per i segni di fuoco, dove li termine visione sta ad indicare un qualcosa che non ha niente a che vedere né  con i cinque sensi, né con la realtà. Questo basta perché uno dei due segni risulti spesso estremamente irritante per l'altro, che non riesce a capirlo, non dico a fondo,  ma nemmeno in superficie.

 

In parole semplici il fuoco teme se non detesta l'ordine - in senso lato, la terra aborrisce il disordine ed il caos. Il fuoco ama ed è fortemente attratto da ciò che non conosce o non ha ancora avuto modo di vedere, la terra si nutre di ciò che le è familiare, noto e del tutto affidabile.

La terra ha dimenticato cosa sia giocare, tutta presa dalle sue serissime incombenze, mentre il fuoco, l'eterno giovinetto dello zodiaco, se lo lasciate fare giocherebbe da mane a sera, perché in  lui vive l'eterno fanciullino, pieno di meraviglia, ingenuità e speranza.

Come il fuoco è l'eterno bambino, la terra è l'eterno vecchio dello zodiaco, con tutta la saggezza che ciò comporta e ne ha anche per il fuoco, che spesso ne ha assai poca.

A volte il segno di terra è vecchio fin da giovane, oberato da quel senso di responsabilità e di dovere che impara così presto a conoscere e che non lo abbandonerà mai.

Questa è la sua grandezza ma anche  il suo limite  e lo stesso si può dire per le caratteristiche dei segni di fuoco, che trovano nelle loro visioni e nella loro concezione fanciullesca della vita a volte la loro grandezza e creatività, a volte il loro limite, perché chi perde il contatto con la realtà cosi clamorosamente è sempre ad alto rischio.

 

Con i segni di terra

Toro Vergine Capricorno

Andate in generale alla grande perché il fuoco ha bisogni di una base x divampare e in questo caso gliela fornisce la solida terra.

 

Con i segni di ARIA

GEMELLI , BILANCIA Acquario

Con l’acquario

Buono l’accostamento aria fuoco: secondo la scienza astrologica  il fuoco, voi , ha bisogno dell’aria x bruciare, quindi datevi da fare x sviluppare l’incendio più divampa meglio è.

 

Con i segni di ACQUA

CANCRO SCORPIONE  PESCI

Fuoco ed Acqua: i 2 elementi a confronto

L'acqua spegne il fuoco: è notorio. Quindi ci vorrà molta buona volontà da entrambe le parti per la riuscita di queste unioni un pochino difficili, ma non sempre.

Si dice che come l'acqua prende forma da ciò che la contiene, così i segni d'acqua sono impressionabili e fortemente ricettivi.

Nel meglio sono molto intuitivi, fantasiosi, tenaci, sensibili e sensuali, nel peggio complicati da capire, sognatori, poco realisti ed influenzabili.

Per questa ragione  i segni di acqua armonizzano fra loro e con i segni di terra, ma trovano numerose difficoltà con il fuoco, che tende prima o poi, come dicevo prima, ad essere spento dall'acqua. 

 

Si verifica di solito il classico contrasto tra il visionario - il fuoco - ed il sognatore - l'acqua - , e tra sogno e visione ce ne corre di differenza anche se, a prima vista, potrebbe non sembrare.

Quindi si tratta di un' unione non facile, ricordatevelo tutti voi che mi state leggendo e che appartenete a questo elemento - cari uomini cancro, scorpione e pesci - , anche se il primo stadio della relazione fuoco acqua può  essere travolgente, presto, talvolta sin troppo presto, accade qualcosa che spegne il fuoco e lascia profondamente delusa l'acqua.

Non  si può nemmeno esattamente dire  di chi sia la colpa, in quanto per il fuoco l'amore è eterna visione, ideale, partecipe della natura del simbolo, e tutto ciò manca totalmente di realismo.

Per l'acqua invece l'amore è soprattutto affetto, dedizione e spesso sacrificio, il tutto condito da una buona dose di  sentimenti profondi.

Non è che il fuoco non sia capace di profondi sentimenti o di passione, anzi, tutt'altro, solo che i suoi di sentimenti non saranno mai profondi quanto quelli dell'acqua.

 

Il fatto nudo e crudo è che il fuoco ha paura della profondità delle emozioni, mentre d'altro canto tutto ciò che spaventa il fuoco è fonte di vita per l'acqua.

Essa letteralmente si nutre di sentimenti profondi, abnegazione e generosità: queste parole fanno infatti parte del suo vocabolario quotidiano.

E' per questa ragione che raramente un segno d'acqua - fatte le debite eccezioni s'intende! -  ammetterà che una relazione amorosa, specie se di lunga durata, è sbagliata, perchè è troppo doloroso per lui lo sciogliersi di un rapporto in cui ha investito di solito tutto se stesso - uomo o donna che sia.

Il fuoco è molto più superficiale sotto questo aspetto e con l'impulsività che lo caratterizza - tutti i segni di fuoco sono impulsivi - non ci penserà due volte a mettere la parola fine ad un qualcosa che non risponda più alle sue aspettative.

 

Mentre l'acqua si sobbarca sacrifici ed ingoia delusioni il fuoco è già tutto preso da una nuova iperbolica visione in cui investirà di solito solo la metà di se stesso, perché di fronte all'impegno ed alla profondità di sentimenti spesso si ritrae come un bambino impaurito, che teme che il suo mondo fantastico si spezzi insieme al mistero della  sua visione.

 

Con i segni di acqua

Cancro Scorpione Pesci

Ecco qui dovreste essere molto caute perché a parte con lo scorpione si tratta di unioni disarmoniche in quanto l’acqua - lui- tende a spegnere il fuoco –voi- e voi non volete essere spente vero?

Lo scorpione potrebbe ed uso il condizionale a ragion veduta essere l’unico a supplire col sesso allo spegnimento e farvi divampare almeno tra le lenzuola!

 

 

 

 

Le donne

della mia famiglia

di marisa vidulli

"Per scrivere di una donna bisogna intingere la penna

nei colori dell’arcobaleno”

                                        Emily Dickinson

Introduzione   

   Il libro di proverbi veneti che ho appena scritto e dato alle stampe rappresenta un atto d’amore per la mia terra, i miei genitori e per mia nonna Dora, che è stata martire di una guerra insensata. Attraverso la rievocazione dei modi più espressivi e tipici di comunicazione da parte di chi su quella terra è nato e vissuto, avendo nel sangue la sua storia, respirando quell’aria che sa di pini e di mare, che accarezza le pietre millenarie dell’Arena di Pola come le umili pietre della campagna.

E’ un atto d’amore  per i miei figli e nipoti, che possano scoprire attraverso le parole la ricca gamma di modulazioni espressive di una saggezza e un’ironia che hanno aiutato i loro padri ad affrontare con coraggio anche le vicende più tragiche.

Un omaggio alle donne della mia famiglia che mi hanno preceduta, perché sono le donne a cui di solito è affidato il compito di tramandare come in questo caso. Questa è la storia di 3 generazioni narrata seguendo il filo conduttore delle parole trovate e cercate sul vocabolario nel corso della stesura del libro di proverbi veneti e istriani. Quando mi fu assegnato il compito della stesura di un libro di proverbi e detti veneto-istriani, accettai con gioia, senza sapere di andare incontro a un drammatico percorso a ritroso nella memoria: ogni parola infatti ricordava episodi della mia famiglia, rievocava volti e situazioni, a volte sapori, suoni, profumi. I flashback erano talmente intensi, tale è il mistero della mente umana, da commuovermi prima e indurmi a riportarli per iscritto poi. Che male c’era? A chi sarebbe servito? Onestamente allora non lo sapevo, ma sentivo prepotente sorgere ad ogni parola o detto trovati nel corso della ricerca l’esigenza di mettere per iscritto i sentimenti che andavo, via, via scoprendo attraverso la trama delle parole: era come un libro parallelo che in effetti si scriveva da solo. Ora  mi è chiaro perché l’ho fatto e per chi.

E ripenso alla frase di Sant’Agostino:

“Coloro che ci hanno lasciati non sono degli assenti, sono degli invisibili: tengono i loro occhi pieni di gioia fissi nei nostri pieni di lacrime.”

1°        Ricordo che in quel periodo  mi ricorrevano alla  memoria parole dimenticate, uscivano dai meandri della mente una ad una senza causa apparente: un oggetto una situazione un ricordo ed ecco rammentavo il vocabolo. Tutto ciò accadeva mentre mi trovavo  impegnata a portare a termine l’opera, per me allora sovrumana, iniziata con la mamma prima che volasse in cielo. Dovevo portarla a termine, pensavo, mentre mi accanivo sempre più sui tasti del computer circondata da dizionari etimologici e copie di libri rari  fotocopiati in biblioteca. Mi erano costati carissimi, ma ora tutto quel ben di Dio mi intimoriva, perdevo il filo poi lo ritrovavo, rileggevo compiaciuta o mi avvilivo. Insomma lavoravo in modo disordinato, ma l’ispirazione c’era e questo solo contava  Mi alzavo di soppiatto alle prime luci dell’alba, accendevo il computer, mi preparavo un tè bollente, poi nel silenzio della casa ancora addormentata battevo sui tasti come invasata. Ero certa che ce l’avrei fatta a tramandare a figli e nipoti il nostro bel dialetto istriano. La mamma era morta da nemmeno 15 giorni ed era normale che io mi sentissi confusa. Invece era stato così semplice, un attimo un sospiro attorniata dalle figlie e nipoti di Milano, ma io non c’ero perché abito a Genova e questo mi rodeva in quanto il rapporto con la mamma non era stato sempre facile per me, la figlia maggiore, la figlia lontana, che io immaginavo e volevo con tutte le mie forze essere la prediletta, come se una mamma potesse fare dei distinguo. Sta di fatto che ci eravamo riavvicinate negli ultimi mesi per via del libro: ci scrivevamo tutti i giorni, lei mi correggeva le bozze poi ci si telefonava per sapere se era arrivata la lettera. Era come se volessimo recuperare entrambe il tempo perduto, io per il mio carattere balordo, lei per la lontananza a da me, cui le vicende della vita l’avevano costretta. Io no, non avevo mai scordato la sua frase: “Quando ti sei sposata e partita per Genova mi sentivo come se mi avessero tagliato un braccio”. Ma che stupidaggini pensavo io che avevo 26 anni e ero felice di andarmene da casa con quel giovane uomo di cui ero innamorata. Adesso invece che mia figlia va ad abitare solo dall’altra parte della città con Lorenzo, il mio adorato nipotino, mi sento come se mi avessero segato entrambe le gambe. Vado avanti nel mio lavoro di ricerca e sotto la voce ”bigolo” trovo un proverbio che mi fa ridere per il sottile acume scritto nel più vero spirito dalmata, che sapeva apprezzare i piaceri della tavola. Infatti i dalmati erano detti “bonculovich” perché gli piaceva  mangiare bene e sapevano apprezzare sia i piaceri della tavola che quelli dei sensi, il tutto condito da una buona dose di ironia.

“Per far  i bigoli ghe vol le sardele, per far l’amor le bele putele”  

Ripenso alle donne dalmate della mia famiglia, innanzitutto la nonna Dora, la cui foto ho ammirato spesso nella mia adolescenza. Mi intrigava quel volto d’angelo dallo sguardo sognante come rivolto al futuro, che non poteva essere che roseo dato la sua giovanissima età:  avrà avuto più o meno 17 anni come li avevo io quando la guardavo e vi cercavo una somiglianza  perché era bellissima e avrei voluto assomigliarle: aveva la bocca dalle labbra sottili atteggiate a un timido sorriso, il nasino ala francese ed era vestita del tipico costume Dalmato, con tanto di pizzi e merletti. Di lei si  è per lungo tempo, ricordo,  parlato poco in casa, la mamma non voleva e rispondeva evasiva o si irrigidiva, troppo dolore le rammentava. Infatti mia nonna Dora per amore restò in ISTRIA invece di partecipare con noi e altri 350.000 italiani all’Esodo, poi fece quella orribile morte, nella foiba, che solo a scrivere questa parola mi si gela il sangue e mi sale dentro una rabbia amara per quel crudele destino, non che l’altra parola Esodo mi lasci indifferente, ma ero piccolissima avevo circa tre anni e l’ho vissuto soprattutto attraverso le il racconto dei miei genitori. Domani 10 febbraio parteciperò anche io, per la prima volta, alla cerimonia del Giorno della Memoria per le vittime delle Foibe e dell’Esodo giuliano dalmata: la mamma sarà contenta e dalle gallerie del cielo mi  vedrà e mi sorriderà mentre io pregherò per la mia nonna. Le donne della mia famiglia dicevo, dopo la nonna  Dora che non ho conosciuto se non attraverso quella splendida foto, in cui è ritratta una giovane donna di rara bellezza che sorride alla vita, con i capelli corti alla moda di allora trattenuti sulla fronte da una bandana scura che ne mette i  risalto  gli occhi azzurri dal taglio orientale da cui tutte poi abbiamo ereditato io, mia figlia, e prima di me mia mamma infine per ultimo persino  il mio nipotino Lorenzo che ha 2 anni. Dopo di le un’altra donna innamorata: la mia mamma che passò la vita ad adorare mio padre, di cui fu sempre molto gelosa, lui un po’ meno, forse perché  dava per scontata la fedeltà della mamma come era solito accadere agli uomini della sua generazione. Se ci penso rivedo ancora la mamma negli anni avanzati dirgli: ”Mario coprite che fa fredo” e comprargli quei bei vestiti che lui portava stupendamente grazie al fisico atletico da ex calciatore della squadra del Pola e poi, dopo la mamma io stessa  che per amore ho lasciato la casa e ho vissuto bene si, ma con un uomo altro che “rustego”, mai una bella parola, non dico un regalo: è genovese, peggio di un “lussignano” il che è tutto dire, chiedergli un regalo  sarebbe come toglierli il sangue dalle vene e se non avessi avuto una piccola rendita mia, dovuta alla lungimiranza di mia mamma che mi obbligò a laurearmi prima del matrimonio e ad abilitarmi all’insegnamento quando la mia prima figlia  era già nata, questo matrimonio non sarebbe certamente durato. Eppure anche io in certi momenti, sempre più rari ormai dopo 42 anni di matrimonio, lo guardo ancora con sguardo adorante..                                                 

Ed infine ultima donna della nostra generazione mia figlia Stefania che si è sposata 8 anni fa per amore e mi ha dato un fantastico nipotino.

 Della nonna paterna, la mitica nonna Orsolina il mio ricordo risale al tempo della Prima Comunione, quando chiedevo a lei, donna piissima consigli per la Confessione, in seguito  la rammento quando abitò per un certo periodo con noi e a me adolescente sembrava molto vecchia, aveva ottanta anni, era anche un po’ bizzosa come tutte le persone anziane, ma in compenso attivissima: cuciva e rammendava che era una bellezza, ora mi vien da pensare che dato che aveva procreato ben 8 figli era stata probabilmente pure lei molto innamorata del marito Francesco. Si narrava in famiglia di un particolare episodio in cui il su detto marito che a quei tempi lavorava sotto l’impero austro ungarico di Cecco Beppe,  nomignolo affettuoso affibbiato al re,  tornando con la sua imbarcazione denominata” Perla” fosse incappato in una terribile tempesta e le donne di Lussimpiccolo, tra cui la nonna Orsolina, con i bambini attaccati alle gonne si erano tutte schierate sulla riva del mare ad aspettare recitando il in ginocchio il Rosario affinché i mariti si salvassero: l’immagine  era stupenda, la fede tanta ma la paura doveva essere stata terribile. Si, le donne istriane della mia  famiglia ,penso sapevano cos’è l’amore e non è cosa da poco. Ed erano tutte ”bele putele” come dice il proverbio Per descriverle bisognerebbe intingere la penna nell’arcobaleno, come diceva Emily Dickinson. Ma io non sono Emily e poi non ho la penna, ma il computer, tuttavia farò del mio meglio.

Ecco ora leggo ”Bassilar”,” preoccuparsi per inezie”  recita il vocabolario e qui mi viene in mente la mamma che usava spesso questo verbo:  lei che tanto aveva sofferto nella sua vita tutto ciò che era inezia lo stroncava con un ”Non bassilar”. Prima la guerra, poi l’esodo dall’ISTRIA, la miseria, l’accoglienza infamante dell’Italia ai profughi, la  morte della nonna assassinata dai “titini”, dopo 6 spaventosi, e la parola qui non basta, mesi di prigionia e poi infoibata  con tanti altri prigionieri civili inermi in un orrendo eccidio etnico che non potrà mai essere  né perdonato nè dimenticato.  In più  la sua vita difficile  per tirar su una famiglia, rimboccandosi le maniche ben più su del gomito, quel benedetto 27 del mese che non arrivava mai con il magro- allora si che era ben magro- stipendio di insegnante suo e di papà per sfamare tre figlie e farle studiare ed anche fare bella figura – quanti capotti risvoltati ricordo e la mamma che inamidava i vestiti delle più piccole sempre vestite eguali -non glielo hanno perdonato per lungo tempo- ma allora usava così. Per fortuna che eravamo tutte e tre belle e qualsiasi cosa indossassimo stavamo bene. Ma soprattutto la grande ambizione della mamma era quella di farci studiare e laureare, conseguire quello che lei iscritta alla Cattolica con il massimo dei voti non aveva potuto portare a termine, causa la guerra.

    Decido all’istante di non “bassilar” più per tutto ciò che è ininfluente, quello che un grande filosofo ha definito  con felice espressione “le termiti “della vita quotidiana ,come pur prendo la durissima per me decisione di partecipare il 10 febbraio alla Giornata della Memoria, perché lei in cielo sia ancora, se possibile, più felice e soprattutto sia fiera di me. Vado, mi commuovo, inorridisco, provo gioia e rabbia al tempo stesso, gioia per l’istituzione tardiva oh se tardiva di questa giornata e con essa il riconoscimento così a lungo negato a noi profughi, ma soprattutto ai nostri martiri, rabbia per le testimonianze atroci che sento, che conoscevo solo attraverso il racconto reiterato dei miei genitori, ma non avevo mai toccato con mano. La folla è immensa, la commozione palpabile, non c’è tripudio ,ma parole dure per gli aguzzini da parte del presidente che parla dal suo metro e 90 di altezza con le lacrime agli occhi come un bambino E’ figlio di Mery l’amica fraterna della mamma, che con lei condivise ai tempi della guerra ansie e dolori Io ero già nata ma poi a parte i pidocchi non mi ricordo altro. Si i pidocchi me li ricordo eccome, come se la memoria si squarciasse in un flash. Ma non avevo i pidocchi io, però loro pensavano che li avessimo e ci spruzzarono tutti di disinfettante allo sbarco dalla nave degli ESULI a Trieste e io ho questo ricordo, pur avendo allora poco più di3 anni, vividissimo in me. Ci rinchiudono tutti in un grande stanzone appena sbarcati, stanchi e affamati, io ho paura, capisco che non è più un gioco, mi rivedo appiccicata alla mamma come una cozza allo scoglio: non mi voglio spogliare e poi farmi spruzzare da quella pompa dall’odore nauseabondo che  mi ricorda quella del Flit per spruzzare le mosche ed inerme come una mosca mi sento, piango e mi divincolo, poi la mamma con pazienza mi convince a fare come gli altri e mi promette  che non dormiremo lì, ma spenderemo gli ultimi soldi per una stanza di albergo e così fece quella donna che aveva coltivato il principio della dignità anche nei momenti più difficili e sofferti. Continuo a sfogliare, stavolta mi imbatto in un proverbio arguto e saporito.

“Nadal senza ranbasici xe un leto matrimonial senza mario”

I “rambasici” sono  degli involtini di verza ripieni di carne: mia mamma religiosamente li preparava ogni  antivigilia di Natale, lasciandoli cuocere sull’angolo della stufa per almeno quattro ore, come le aveva insegnato la nonna Dora e la madre della nonna ancora prima. Mi solletica le narici il ricordo del profumo che si sprigionava dalla grande pentola di coccio, l’acquolina sale ancora adesso a inumidirmi il palato, ricordo che era solita dire che riscaldati erano ancora più buoni: infatti ne mangiavamo pochi alla volta e duravano fino a S. Stefano. Dopo sposata quando li ha preparati per mio marito è stata un’apoteosi, credo che lui non li abbia più dimenticati, ogni tanto me li chiede, ma io non ho la pazienza di mia madre e di mia nonna e della bisnonna prima di lei: il confronto sarebbe impari e non mi cimento neppure con suo grande disappunto.

2°          E’ già passata un settimana da che ho iniziato a scrivere, il tempo passa veloce, mi scorre tra le dita  attraverso i tasti del computer, non me ne accorgo. Il lavoro ora è più intenso, la trama delle parole più fitta, le parole numerose, le emozioni profonde. La Saga della mia famiglia sta lentamente prendendo forma attraverso il ricordo che riaffiora dagli abissi della memoria.

Sono diventata grande e ho compreso che la vita è amore, il rancore fa male e l’odio uccide. Questi umani sentimenti sono rappresentati anche nella mia famiglia a cominciare dalla nonna Dora che è stata uccisa a causa dell’odio,  mia madre che non lo ha mai  lesinato l’amore a  noi figlie, al marito e ai suoi scolari che ancora la ricordano, dal rancore che va superato col perdono altrimenti può uccidere. Spero di essere capace di trasmettere questi valori ai miei figli.

Ecco ora sul vocabolario la parola Specera: specchiera, specchio grande da sala, leggo ancora e penso a quanta importanza ha avuto questo semplice oggetto nella mia vita. Mi ci sono specchiata a lungo prima da adolescente nel grande specchio della mamma nella sua camera, poi vestita da sposa  col turbinio nel cuore, ora, esagerata come sempre, ho tutte le porte interne della mia casa fatte a specchio, ma se devo proprio dire il primo specchio di cui mi ricordo è quello della fotografia di cui in casa da piccola si faceva un gran parlare come di una meraviglia,  e che mi è rimasta impressa nella memoria con un nitore da macchina fotografica, parlo di quella in cui la mamma, già antesignana ai suoi tempi e provetta fotografa, da un angolo strategico della camera da letto mi ritraeva a lei abbracciata mentre impugnava la macchina fotografica riflessa anch’essa nel grande specchio. Non l’ho mai scordata quella foto ed immediatamente è questa bellissima immagine che la parola mi ricorda: la foto nella foto, un po' come il teatro nel teatro di Shakespeare se mi si perdona il paragone azzardato, una botta di genio un vero colpo da maestro, anzi maestra come era la mia mamma splendida in quella foto con i lunghi capelli biondi sparsi sulle spalle ad incorniciarle il viso delicato, la figura esile di cui andava orgogliosa, e l’incredibile colore degli occhi, azzurri come la sua Dalmazia.

Ecco ora leggo il vocabolo sparagnin, economo, e qui prepotente riemerge dalla memoria il ricordo della mamma di mio padre, la nonna paterna, la mitica nonna Orsolina, che era di Lussimpiccolo dove, diceva la leggenda, la gente era ancora più “ tirata” degli scozzesi… Ricordo un giorno in cui stavamo pelando insieme le zucchine e si accese una discussione tra me adolescente e caparbia e lei  anziana, avrei dovuto solo per quello essere più rispettosa, più caparbia di me. “Le zucchine si grattano non si pelano” sosteneva lei che non buttava via mai niente, io invece dicevo che andavano pelate sebbene di una buccia sottile- così mi sbrigavo prima, pensavo e prima potevo andarmene fuori con le mie amiche.

Le due scuole di pensiero sulla pelatura delle zucchine diedero come risultato che da allora in poi io le ho sempre grattate e son passati ben 40 anni tanto fu convincente l’austera nonna Orsolina, sempre vestita di nero come la nonna Lucia del Carducci, devota terziaria francescana, col cordone, lo “scapolare” si chiamava, a mò di cilicio sotto gli abiti sulla pelle nuda, che tanto mi incuriosiva da bambina” ma se lo toglierà almeno per dormire?” mi chiedevo. Era madre di 8 figli di cui mio padre era il più piccolo e il più coccolato.

Il ricordo più pregnante che ho di lei è quello in cui lei mi chiamava per consolarmi esortandomi ad uscire dal bagno dove mi ero rinchiusa disperata a piangere la fine del mio primo amore. Avevo 18 anni, ma il ricordo delle  parole suadenti e consolatorie della nonna sono rimaste impresse nel mio cuore come il mio primo amore che come dice il proverbio non si scorda mai. Come non posso scordare quando il giorno del mio matrimonio lei ormai vecchissima nel corso del ricevimento, un po’ confusa da tutte quelle fisionomie nuove, chiese a mio marito che la salutava “e questo chi xè?” traduzione “e questo chi è?” frase passata poi alla storia.

E’ già passata un settimana dicevo prima, ma io continuo instancabile il mio rito mattutino: mi alzo regolarmente alle sette, ancora assonnata entro nel mio studiolo premo il tasto d’accensione del computer, a volte ancor prima di andare in bagno, poi vado in cucina e accendo il bollitore del te e mentre aspetto mi lavo i denti.

Intanto penso a quello che ho scritto la sera precedente e a ciò che scriverò oggi. Spesso le idee si accavallano, allora mi siedo sulla poltrona  ergonomica blu dell’Ikea, sfoglio i miei libri e lascio fare  al caso, che non mi delude mai. Apro il vocabolario e la trama delle parole appare, lentamente, dolcemente il pensiero di cosa scrivere si dipana nella mia mente. Le dita battono veloci sui tasti: ecco il filo è riannodato, la trama continua. Questa mattina il dito con l’artrosi mi fa più male del solito, spero mi lasci il tempo di finire sia il vocabolario sia questo libro,

 “Boroª” leggo la parola, resto un attimo interdetta perché questa parola io la conosco, ne sono più che certa, ma è lontana lontanissima come nel limbo della memoria. “Soldo” ecco cosa vuol dire e ne ho la immediata conferma dal dizionario con mia grande soddisfazione Lo diceva spesso papà nell’immediato dopoguerra quando io ero piccolissima 3,4,5 anni non di più: è come il ricordo del Flit a Trieste¹ lontano, lontano ma chiaro, è come un flashback nella memoria.

“Non go abbastanza bori” diceva allora, in seguito è passato al più veneziano “schei”, ma la frase "bori ciama i bori¹" io non l’ho più dimenticata ed eccomi qui mentre rabbrividisco e mi compiaccio allo stesso tempo nella dolcezza del ricordo evocata dalla magia di quella parola che trascende la traduzione letterale perché è subentrato un significato recondito evocatore di sensazioni reali…

Ma come punge questo libro che mi sono messa in testa di fare, a volte come in questo momento mi strazia le carni. Fa male talvolta ricordare, ma non sarà questo che mi fermerà e poi a me piace soffrire quando la sofferenza è intrisa di tenerezza, come in questo caso.

Tutte queste parole sono un ricordo, la loro trama segreta mi intriga, non è più gioco né studio, è vita: vita vissuta. Inoltre proseguendo nella mia ricerca spesso mi imbatto in pezzi di storia a me finora sconosciuti: alcuni tristi, altri tragici ed alcuni, pochi, più leggeri. Con uno di questi vorrei cominciare: l’origine della parola Quarnero, il golfo al cui centro si trova Pola la mia città natale, che ho sempre amato sin da piccola andandone fiera e orgogliosa. Ricordo che alle scuole elementari, già profuga dall’Istria indicavo col dito il golfo che delimita a destra la nostra penisola e affermavo tutta orgogliosa rivolgendomi alle amichette con cui studiavo geografia: ”Sai io sono nata proprio qui” e puntavo il ditino su Pola.

Narra la leggenda che oltre tre millenni addietro un gruppo di Argonauti guidati  da Giasone e da Medea, figlia di Eèta re della Colchide, dopo aver rubato il vello d’oro giunsero in Istria, Per convincere la principessa a tornare il re la fece uccidere dal fratello Absirto. Costui venne ucciso a sua volta, nella più classica tradizione delle tragedie greche, da Giasone con la complicità di Medea, e il suo corpo fatto a pezzi venne gettato nel mare. Mentre le carni scomparivano nei flutti gli Dei impietositi, si impietosiscono sempre “dopo” questi Dei non ho mai capito il perché, da tanta efferatezza, fecero emergere dalle acque ribollenti le isole di Cherso, Lussino e Veglia che in suo onore vennero chiamate Absirtidi, mentre il braccio di mare che le separa dall’Istria prende il nome di Carnaro (da Carnaio), l’attuale Quarnero. Leggo inoltre che i poeti Licofròne di Calcide e il grande Callimaco, tra i lirici greci da me il più amato da sempre, nelle loro opere citando Pola fondata dai Colchi la chiamarono Polai- Città degli esuli. A questo punto mi soffermo mentre e la mia mente ribolle come i flutti del Quarnero, troppe sono le coincidenze cui questi termini mi riconducono: uccisioni nelle guerre che hanno travagliato la mia terra, non ultima quella serbocroata, corpi fatti a pezzi e gettati in mare: le famigerate foibe, il termine greco Polai che vuol dire esuli ed esuli siamo stati noi istriani.

            ¹i soldi richiamano soldi

 Si, mi viene da pensare che a volte la realtà superi in atrocità la leggenda, se non altro nella dimensione temporale, perché nella leggenda tutto si sarà svolto occhio e croce nell’arco di un paio d’anni e poi si sa che i tempi delle leggende non sono i nostri, mentre la guerra che ha martoriato la mia terra è stata ben più lunga: dal 1943 al 1947.

Dopo l’armistizio della prima guerra mondiale atti di barbarie e ferocia inaudita furono compiuti sulle popolazioni e gli dei non si impietosirono né prima né dopo, se ne dimenticarono del tutto o volsero altrove lo sguardo.

Vidulli Marisa - Genova

 

 

 

 

ANTICHI PROVERBI

E DETTI VENETI

Con brevi commenti

e aneddoti

di Marisa Vidulli

 
 

Alcuni frammenti di tale opera:

Introduzione

 

I proverbi e i detti sono l’espressione dei costumi e delle sane abitudini della gente umile: Benedetto Croce li definisce il monumento parlato del buon senso, essi sono opera anonima di popolo, ma a volte anche di filosofi e pensatori Quelli veneti in particolare sono scherzi lievi, senza troppi taglienti, sarcasmi nei quali è facile ravvisare il carattere fiero e arguto al tempo stesso, spesso sensuale della razza. Se poi è anche vero che i proverbi sono la musica dei popoli, quelli appartenenti al Veneto sono musica per eccellenza in virtù di un linguaggio leggero per sua natura spesso squisitamente dotto, per freschezza di frase per arguzia di forma e di dettato, per inventiva, per uso spregiudicato di aggettivo e di parola e anche quando è un po’ sboccato si riscatta attraverso un tono goliardico frizzante e giovanile. 

 Nessuno pretende naturalmente di dare al proverbio il carisma dell’infallibilità, sappiamo bene che traducono anche superstizioni, a volte pregiudizi, tuttavia giovano come in questo caso a chi voglia conoscere l'indole e la natura di un popolo il mio, il veneto, delle sue secolari esperienze, della cultura e dei costumi.

La natura nella sua ciclicità é esemplificata nei proverbi contadini dove sono le stagioni a guidare il passo e in molti di questi essa é percepita come forza misteriosa: se ne può quasi cogliere la dimensione arcaica e primitiva

 “Proverbio vecio, parola antica”, questo è stato il criterio che ho seguito nella scelta dei proverbi e detti qui riportati, selezionati tra  tanti.

La gente semplice del Veneto nei proverbi ci ha sempre creduto, fermamente persuasa che nelle rime e assonanze di quei motti agili e spesso briosi, un misto di prosa e di poesia, siano veramente racchiuse l’ esperienza di innumerevoli generazioni e la sapienza degli avi, cioè una precettistica collaudata dalle generazioni precedenti , perché:

                “I nostri veci ga mangià i caponi

                    E i n’à lassà i proverbi”

 

Qui di seguito sono riportati alcuni proverbi tratti dal libro che è composto da  200 pagine ed è diviso in 6 capitoli.

 

1

Amore e Donne

 

Raccoglie proverbi e detti riconducibili a questi soggetti, come una matrice originale, anche se nel tempo hanno assunto o sono usati con significati diversi o più generali.

  

A la predica, ragasse, la quaresima xe qua, pichè la camisa al ciòdo, e fè voto de castità

Alla predica ragazze, la Quaresima è qua, attaccate la camicia al chiodo, e fate voto di castità.

    Bel detto, quasi una poesia. La Quaresima è sinonimo di preghiera, pentimento e astinenza. Nel tempo il detto ha assunto un significato più generale ad indicare l’arrivo di una persona pedante e bacchettona.

 

A le more, trenta soldi; a le bionde, vintioto; a le rosse, gnanca oto; a le grìse, un patacòn.

Alle more, trenta soldi; alle bionde ventotto; alle rosse, neanche otto; alle grigie, una patacca.

    Le bellezze dai capelli neri erano più rare e considerate più frizzanti e birichine, mentre le bionde rappresentavano la sicurezza della famiglia e del focolare. Ma questa scaletta di valori, che incontriamo in altri detti o proverbi come La mora vol la bionda pol e anche Meio una mora coi suoi brizzi che una bionda coi sui caprizi e Tol la mora per morosa, e la bionda per to sposa, dev’essere indagata nel dettaglio perché viene da lontano e può racchiudere spiegazioni interessanti.

 Per il “maggior valore” delle more la spiegazione poteva essere semplicemente numerica perché le donne venete e istriane erano bionde e quindi con quelle dai  capelli corvini si premiava la rarità. Non certo la carica erotica perché abbiamo esempi eclatanti di donne dai capelli color del grano che fecero girar la testa non a uno ma a cento Casanova. Se ben ricordo uno dei più  famosi fumetti della mia adolescenza era proprio “La pantera bionda”Appunto bionda e non mora!

Le rosse erano certamente meno valutate, per la fama del bel caratterino che si portavano addosso da secoli. Erano infatti considerate vendicative, suscettibili e colleriche in quasi tutti i dialetti della penisola e pare che l’origine del biasimo popolare per i capelli rossi risalga addirittura agli albori della cristianità, perché la tradizione vuole che Giuda avesse i capelli fulvi.

Per le grise maltrattate incontriamo uno di quei famosi esempi di sana bonomia goliardica tipica della gente veneta.

Il patacòn era una patacca di rame di due soldi: cioè dieci centesimi.

 

A ‘na dona no se ghe dise né bruta né vecia

A un a donna non si dice né brutta né vecchia

    Se non altro per educazione.

 

A vinti quel che se vol, a trenta quel che se pol, a quaranta anca al can ghe se da la man

A venti quello che si vuole, a trenta quello che si può, a quaranta anche al cane gli si da la mano

    Alla fin fine, in mancanza d’altro si sposa anche uno così così.

 

Amor de mugier morta dura fin a la porta

L’amore per la moglie morta dura fino alla porta

    Proverbio ricco d’ironia che rivela la natura disincantata della gente veneta che sa prendere con spirito anche le situazioni più difficili e dolorose. Il proverbio ha assunto nel tempo un significato più generale a indicare l’irriconoscenza della natura umana verso chi è stato utile e fedele per anni.

 

Amor no fa bògere la pignata

L’amore non fa bollire la pentola

    Detto popolare: in parole povere due cuori e una capanna é un’utopia e le cose non vanno avanti di sole. Ci vuole cura attenzione e sacrificio.

 

2

Famiglia e Amicizia.

 

La famiglia era il cardine su cui girava la vita dei nostri progenitori, altro che tempi moderni in cui si ha paura di formarne una e i matrimoni sono sempre meno numerosi, come pure i figli. Tempi diversi e diverse concezioni. Anche qui non manca tuttavia la satira e una buona dose d’ironia.

 

 

A mezo ano el cul fa scagno

A mezzo anno il sedere fa sgabello

    Simpaticissimo detto: si riferisce ai neonati che a sei mesi iniziano solitamente a mantenere agevolmente la posizione seduta

 

A ogni mare el fio xe un strùcolo e ogni bàcolo xe un bòcolo

A ogni madre il figlio è uno strudel e ogni scarafaggio è un bottoncino di rosa..

    Detto popolare presente in molti dialetti della penisola infatti i napoletani ad esempio dicono : Pure o scaraffone è bello a mamma sua”.

Qui il figlio è uno strudel, il dolcissimo tipico dolce della Dalmazia, fatto di una sottilissima sfoglia ripiena di mele, uvetta, pinoli, buccia di limone, pangrattato e cannella. Le nostre nonne e mamme dicevano: El sfoio del strucolo deve esser tanto fin da poder lezer el giornal de chi xe dall’altra parte.

Questa deliziosa ricetta esiste anche in altre varianti: di nocistrudel de nose, di ricotta strudel de puina, di ciliegie strudel de zeriese.

 

Camin che fa fumo e dona che çiga, fa scampar l’omo de casa.

Camino che fa fumo e donna che strilla fanno scappare l’uomo dalla casa

    Perché sono due cose davvero insopportabili!

 

Chi se marìda presto se intrìga, cresce la briga e cala ‘l morbin 

Chi si sposa presto s’intrappola, crescono gli affanni e diminuisce  l’allegria . 

    Ironico proverbio popolare rivolto a chi si sposa o intende sposarsi per metterlo in guardia dai guai a cui va incontro.

3

Campanilismo

 

Tedesco italianizà xe un diavolo incarnà

Tedesco italianizzato è un diavolo incarnato

    Espressione di schietto campanilismo tipica della gente di confine, vedi anche triestin mezo delinquente e mezo ‘sassin

 

Triestin mezo delinquente e mezo ‘sassin

Triestino mezzo delinquente e mezzo assassino.

    Fantasioso antico detto popolare riferito  goliardicamente, ma non sempre  perché il detto è probabilmente campanilistico,   agli abitanti di Trieste, gente di confine e quindi pericolosa.

Le seguenti simpatiche Filastrocche Medievali la dicono lunga sullo spirito campanilistico un tempo esistente tra città e città, paese e paese.

Veneziani gran signori

 perché signori erano per antonomasia i veneziani per sfarzo, ricchezza e generosità d’animo

Padovani gran dottori

 perché Padova era sede dell’università

Visentini magnagati

 perché al posto dei conigli, preferivano i gatti!

Veronesi tuti mati

perché di carattere estroso su cui non si poteva fare troppo affidamento

    E ancora:

Trevisani, pan e tripe per il piatto tipico.

Rovigoti, Baco e pipe perché coltivavano il gelso per il baco da seta e le pipe

I Cremaschi fa i’ cogioni perché facevano sempre finta di niente.

I Bressan, tagiacantoni perché per far presto tagliavano gli angoli

Ghe n’è anco de più tristi

Bergamaschi, brusacristi perché in questo giudizio molto duro che viene da lontano i bergamaschi erano additati come brucia Crocefissi. Nel Medioevo la sconsacrazione di una chiesa avveniva con il furto delle reliquie del santo, poi gettate via, e il rogo dei crocefissi con il Cristo capovolto.

 

Dove ghe xe putane, ghe xe anca rufiane

Dove ci sono puttane ci sono anche ruffiane.

    Consequenziale.

 

Dove no gh’è pan gh’è strepito

Dove non c’è pane c’è strepito.

    Detto.

Quando manca da mangiare può accadere di tutto, anche la rivoluzione.

 

El desparà xe sempre castrà

Il disperato è sempre  castrato.

    Conciato per le feste, ingannato, sfigato.

 

El lavorar fa fadiga; la fadiga fa mal; el mal fa morir.

Lavorare fa fatica, la fatica fa male, il male fa morire

    Proverbio consequenziale, ad uso e consumo dei poltroni e buontemponi.

 

4

Filosofici

 

Proverbi e detti nei quali il concetto filosofico è più presente, senza rinunciare nella esposizione a quella vena di ironia e bonomia propria del popolo veneto.

 

A chi non mòr in cuna, ghe toca sempre qualcheduna.

A chi non muore nella culla, gli capita sempre qualcosa.

    Proverbio antico: i guai e i dispiaceri capitano solo a chi è vivo e quindi bisogna sopportarli e non disperarsi perché c’è di peggio. Fa parte di quei proverbi filosofici di chiara origine contadina, tipici della saggezza popolare

 

El sol se leva per tuti

Il sole si leva per tutti

    Ricchi e poveri, fortunati e miserabili almeno in questo non esistono differenze:  il nuovo giorno è un regalo  di cui tutti possono godere, sta poi a ciascuno di noi farne l’uso migliore ricordando le parole che Shakespeare mette in bocca a un suo personaggio nel Giulio Cesare: “il destino non e scritto nelle stelle ne siamo noi gli artefici”

 

I morti a la tera, i vivi a la scudèla

I morti alla terra, i vivi alla scodella.

    Triste ma vero, perché la vita ha da continuare sempre, con le sue gioie e i suoi dolori.

 

L’aqua che no me scalda, no me scota

Lacqua che non mi scalda ,non mi scotta

    Bisogna vedere i vantaggi e gli svantaggi di ogni situazione.

 

La camisa dei dispiaçeri no se frua mai

La camicia dei dispiaceri non si consuma mai.

    Purtroppo!

 

La morte uno a la volta ne scoa via tuti.

La morte uno alla volta ci spazza via tutti.

    Detto popolare dalla sottile vena umoristica nonostante l’argomento funereo: bella l’immagine della scopa che spazza.

 

La  razon dei poareti l’è carga de difeti

La ragione dei poveri è carica di diffetti.

    Antico detto riguardante i poveri. Non avevano e non hanno i mezzi per difendersi dalle prepotenze e dai soprusi.

 

5

Giustizia e Politica.   

 

E’ interessante leggere alcuni arguti proverbi a volte amari, altre, più raramente, giocosi, spesso grevi di satira ed accorgersi che assai poco è cambiato nel corso dei tempi. Resta in bocca un gusto di agro, manca il dolce.

A robar poco se va in galera, a robar tanto se fa cariera

A rubar poco si va in galera a rubar tanto si fa carriera.

 

Brighèla ordina, Macaco paga

Brighella ordina, Macaco paga

     Curioso antico proverbio che riguarda le maschere veneziane di: Brighella il furbo e Macaco lo  scemo.

 

Chi dìsi la verità , vien impicà

Chi dice la verità viene impiccato

    Quindi meglio mentire e non confessarla mai la verità.

 

Chi ga la mèscola missia a suo modo

Chi possiede il mestolo mescola a modo suo

 

Chi magna le oche del re resta sofegà da le pene

Chi mangia le oche del re resta soffocato dalle piume

    Curioso gioco di parole tra pene (penne) e pene (condanne). Vedi anche  contro el potente non mostrar el dente.

 

Chi roba un pàn, mòri in galera, chi roba una çità porta bandiera.

Chi ruba un pane muore in galera, chi ruba una città porta la bandiera

    Detto amarissimo: chi ha fame e si appropria di un panino va dritto in prigione, ma chi ruba una città ai suoi abitanti costringendoli a fuggire avrà bandiere onori e gloria. Parola di esule di Pola come sono io!

 

Co’ sona le campame grosse le picole no se  le sente

Quando suonano le campane gosse le piccole non si sentono

    Più chiaro di così…… vedi anche la razon dei poareti l’è carga de difeti.

 

Le cause le vinçe chi no le fa

Le cause le vince chi non le fa.

    È notorio, ma non tutti vi si attengono a questo saggio detto

 

Né de tempo né de signorìa no te tor malinconia

Né del tempo né della signoria non ti prendere malinconia

    Non prendertela né per il cattivo tempo né per chi governa

 

FOLLIA  AMOROSA

 

    Ogni volta che se la vedeva passare davanti, così  armoniosa ed elegante nella sua semplicità, se ne ri- innamorava. Preferiva tuttavia ricordarla com’era prima del recente lifting, quando i suoi anni li dimostrava tutti, ma sempre con grande stile e dignità.

Ora vestiva quasi esclusivamente di bianco d’estate , di blu d’inverno quando si ritirava nel suo rifugio- portava gioielli luminosi dagli incandescenti bagliori metallici quando il sole vi picchiava sopra, che il sole per lei era indispensabile, la metteva di buonumore.

 Non sarebbe mai uscita con la pioggia o ancor peggio quando il cielo si faceva scuro foriero di tempesta.  Il sole era proprio il suo elemento naturale e così il mare d’estate.

    Ricordava ancora il primo incontro su quella banchina un po’ dimessa, appartata nel porto di Savona. L’emozione della scoperta, quando oramai non ci sperava più  e subito dopo ricordava l’impeto con cui l’aveva cavalcata e trascinata via con se.

E poi come dimenticare le stelle cadenti  nel porto di Finale guardate fino a notte fonda col naso all’insù,  i bagni nel mare limpido di Bergeggi, dove c’erano quei ragazzini spericolati che si tuffavano dai picchi di roccia su in alto e le notti ah le notti accarezzati dal lambire delle onde e poi i suoni , oh i suoni che emetteva ora rauchi, ora rabbiosi, ora dolci e costanti come un lungo afflato, ecco erano i suoni  la cosa che più gli mancava, più dell’oggetto .

Perché di oggetto e non di persona si trattava… era la sua ex… BARCA.

    Così pensava Gigino disteso sulla sdraio quando la vedeva passare trainata dal trattore sul molo, maestosa nella sua prorompente bellezza, seguita amorosamente dal nuovo padrone, un suo amico a cui l’aveva venduta per sopraggiunti limiti di età, suoi non della barca e segretamente  lo invidiava.

 Allora  afferrava l’asciugamano faceva la doccia e se ne andava corrucciato sentendosi come un vecchio leone ferito, novello Hemingway sconfitto dal mare o dalla vita che poi è lo stesso.

“Il vecchio e il mare” il suo libro preferito era diventato per lui realtà: non c’era lo scheletro del pesce ma  un uomo con la carne ferita ed un cuore che batteva ancora d’amore per LEI.

 

 

 

 

Lunn-a a Boccadaze

di Marisa Vidulli

 
 

Sciabordìo di mare

Da sempre eguale

Misura di eternità

 

Girovago

Sotto la luna

A Boccadasse

 

Dalle trattorie,

Gelaterie del borgo

Escono a grappoli

e nella notte si confondono

 

coppie

 

 tra le barche

sostano

sulla spiaggia

 

dietro a loro,

come ombra leggera,

mi tuffo nei ricordi

 

e riemergo,

a fatica,

a nuove speranze.

 

(Boccadasse - Genova - Liguria - italia)

 

L'ASCENSORE

di Marisa Vidulli


Son salita tante volte

con te in ascensore

che mi sembra strano

ora che non ci sia tu

a dirmi stupidina

dai che ci siamo

ora andiamo,

facciamo,

corriamo

 

esci prima tu

io prendo le chiavi

non mi aspettare,

intanto apparecchia

 

dai MARISIN

non esser triste

tu non mi vedi

ma io son qui accanto a te!

 

 

 

STORIA DI UN LUNGO AMORE

di Marisa vidulli
 

 

Racconto in tre parti che rispecchia tutti i colori dell'arcobaleno,  come è la vita a due d'altronde, un giorno rosa di tenerezza, un altro rossa di passione, spesso nera di  traversie- ma in due ci si appoggia l'uno all'altra- verde come la speranza, viola come la iella,  azzurra come gli occhi del tuo amore.

- Parte Prima: L'inizio della storia d'amore -colore AZZURRO- titolo "Il Mare"

- Parte Seconda: il periodo dell'Innamoramento  e della Passione- colore  ROSSO- titolo "Il Pollo"

- Parte terza: dopo quasi una vita assieme- colore- ROSA titolo "La donna che guarda"

1°: Il Mare

Amava il mare da sempre. Era la grande passione della sua vita. Sarà stato per via di quegli spazi infiniti in cui la sua anima poteva migrare a piacimento fino a giungere chissà dove o per le navi che gli risvegliavano sempre un fremito quando le vedeva avviarsi placide verso mete lontane o per i colori che lo abbagliavano luminosissimi in estate e mai e poi mai lo immalinconivano d'inverno. Sempre allegria gli infondeva il mare, e passione. Non che volesse partire, stava bene lì dove stava Stefano, era semplicemente innamorato di quella distesa azzurra  che gli riportava alla mente" L'Infinito" di  leopardiana memoria,e poi la vedeva dalla sua finestra sin da quando era nato. Anzi si diceva che il suo primo vagito lo avesse emesso proprio in quella grande casa sormontata dai due angeli, lassù , all'ultimo piano, da dove di mare se ne vedeva davvero tanto! Poi , a parte una breve parentesi in tempo di guerra, aveva sempre abitato in case da cui si poteva vedere se non addirittura quasi fisicamente sentire il mare. Ma non era il mare forse, era l'Idea. Un'astrazione, un senso di libertà, una esplosione di gioia, un godimento incontrollabile dei sensi. Non un desiderio di fuggire, come molti avrebbero potuto pensare, perché  è pur vero che la nave induce a fantasie di fuga. No, per lui era diverso, il mare gli " metteva" gioia. Non c'era infatti suono più ammagliante per lui del tintinnare degli alberi in porto, nelle giornate di maestrale: quel suono gli procurava una sorta di esaltazione, lo affascinava come il canto di una sirena  e, come una sirena, lo innamorava. Il suono del telefono risvegliò Stefano dalle sue fantasticherie riportandolo bruscamente alla realtà. Si era completamente dimenticato della partita di pallone con gli amici ed aveva dato invece appuntamento a Lei per la stessa serata. Ma perché la vita gli si accaniva contro con tutte quelle complicazioni? E adesso come l'avrebbe sbrogliata quella faccenda?- che da sola certamente non si sbrogliava. Non ebbe un attimo di esitazione, che so un tentennamento, un dubbio, niente di tutto questo. Scelse gli amici e rimandò l'appuntamento con la ragazza adducendo scuse banali, eh no, gli amici non si possono deludere, l'amicizia è sacra, e poi di donne ne aveva tante lui, gli bastava di schioccare le dita ed oplà! sissignore, quante ne voleva! Se lei non gli avesse attaccato risentita sul muso il telefono non ci avrebbe pensato più di tanto, ma il suo orgoglio di maschio era rimasto ferito da quel click improvviso che ancora se lo sentiva ronzare nell'orecchio. Ma cosa voleva quella stupidina? Come non poteva capire una cosa così banale?  Eh  sì , perché lui era stato sincero. Senza tanti giri di parole, che poi non conducono a niente, le aveva detto della partita di cui si era scordato, ma  Marina si era offesa. L'aveva preso come un affronto personale, come se avesse preferito gli amici a lei. Che stupidaggine! Che importava se sarebbe passato una settimana intera prima che si potessero rivedere - lei veniva  in Riviera due volte alla settimana ed era già giovedì - certe urgenze potevano pure aspettare e poi non era nemmeno più tanto sicuro di volerla rivedere quella presuntuosa dopo quel brusco interrompersi della comunicazione mentre stava ancora parlando. Ma chi si credeva di essere? Lui, l'uomo illuminato che vede lontano nelle tenebre. L'amico di tutti e di nessuno, non dico che si sentisse il salvatore dell'umanità , ma poco ci mancava.  Finì il progetto su cui stava lavorando, accanendovisi di malumore. Le idee che  di solito gli fluivano nitide nella mente così facilmente oggi non volevano proprio saperne di allinearsi in modo coerente. Guizzavano come cavalli imbizzarriti via dalle sue mani lasciandogli solo le briglie di cui non sapeva a quel punto più che farsene. La  sera la  partita andò malissimo: persero due a zero e si mise anche a piovere. Per fortuna che poi l'amico aveva rimediato due "sbarbine" e la serata si era almeno conclusa in modo decente. La mattina seguente il primo impulso fu di chiamarla, ma poi cento cose gli si misero di mezzo : e il progetto da finire e le chiamate degli amici e quel disegno  del giorno avanti che era tutto da rifare tanto gli era venuto male,  tanto che se ne dimenticò. Passarono i giorni veloci, guizzanti come un "bullo di acciughe in un turbinio frenetico di progetti e pensieri  senza lasciargli un attimo di respiro. Nemmeno il tempo di guardare il mare dalla finestra del suo studio: quel mare che lo incantava e gli ricordava gli occhi di lei. Non si erano più risentiti: Stefano non avrebbe di certo telefonato per primo dopo l'offesa subita e manco gli passava per la mente di aver potuto ferire i suoi sentimenti  con quel comportamento a dir poco privo di tatto. Il sabato lo colse di sorpresa,  mentre si dava da fare per organizzare il  lavoro della settimana seguente: ancora due colpi di telefono ed  avrebbe finito. Poi via verso Milano, sull'autostrada, a cento all'ora come nella canzone, da Lei. Voleva farle una sorpresa, ecco cosa avrebbe fatto, così avrebbe evitato predicozzi, musi e parole vane, ma soprattutto di sentirsi nuovamente riattaccare il telefono. No quello proprio non avrebbe dovuto farglielo, al solo pensiero dello sgarbo subito si sentiva ribollire tutto. Arrivò a Milano a mezzogiorno. Il viaggio era stato veloce, ma l'afa era totale. Sarebbe stato assai meglio che  fosse venuta lei in Riviera dove almeno c'era il mare. Giunto a S. Siro pensò di comprarle  un mazzo di rose. Non si poteva mai sapere. Se fosse stata ancora arrabbiata? Si sa come son fatte le donne! Poi ci ripensò e non ne fece niente, non era tipo da fiori lui. Suonò imperioso il campanello dell'interno quattro al piano terra e già gli tremava il cuore al pensiero di rivedere quegli occhi color del mare. Gli aprì la zia di Marina una rossa che un tempo doveva essere stata bella,con  quegli zigomi alti tipici delle nordiche e gli occhi azzurri proprio come quelli di Lei. Chiese di Marina della sua sirena dagli occhi color del mare ed un gelo  lo percorse tutto quando udì la risposta." No, Marina non c'era,  se n'era andata, era partita... Era partita per  la Riviera col treno delle 11.30  per  andare da lui. Se si fosse affrettato forse ce l'avrebbe fatta ad andarla a prendere alla stazione." Felice come un bambino rimontò di corsa in macchina, ingranò la marcia, invertì la rotta ed a 200 all'ora ripartì fischiettando, lasciando allibita l'anziana signora dai capelli rossi, che  sorridendo richiuse l'uscio mentre mormorava tra se e se: "Gioventù, beata gioventù!".

2°:  IL POLLO

Quattro minuscole palline rosse scompaiono  e poi  riappaiono tra gli spruzzi frastagliati dell'onda lunga del mare che le ha rapite Quattro piedi nudi si avventurano pericolosamente sugli scogli tra pietre aguzze e scivoloso muschio  nella vana speranza di recuperarle." E' colpa tua "dice ridendo lei, gli occhi azzurri come il mare ed i riccioli biondi impregnati di salsedine"te ne sei dimenticato- mentre mi baciavi- di averli messi in acqua col sacchetto di plastica legato  alla meglio perché stessero al fresco.". E' sempre e solo colpa tua" ribatte pronto lui, lo sguardo che si fa malizioso nei profondi occhi verdi, che mutano di colore a seconda delle stagioni dell'anima. Ora sono verdissimi che di più non si può. Hanno appena fatto l'amore, con slancio e con passione, dopo una settimana che non si vedevano ed i corpi si sono  immediatamente ritrovati ed in simbiosi uniti uno nell'incavo dell'altro come un frutto spaccato a metà che ritrova la sua forma. Intanto lei ha pericolosamente recuperato un pomodoro e con sguardo afflitto segue gli altri tre, usciti dal sacchetto allentatosi,allontanarsi tra le onde della  risacca. "Vuol dire che mangeremo solo il pollo: faremo a meno dei pomodori "dice filosofica, acquattata a carponi sul telo da spiaggia, mentre svolge il suo ruolo di futura mogliettina ed apparecchia con i piatti di plastica colorati. "Il pollo è ancora caldo! Dai vieni Stefano mangiamo!" ed intanto addenta furtiva una coscia. Lui le si siede accanto,  ha i piedi ancora bagnati ed i riccioli neri che si rincorrono sul bagliore degli occhi: uno verde ed uno blu. "Hai gli occhi di colore diverso, lo sai?" dice lei con la bocca piena mentre lo guarda e se lo mangia con gli occhi "E colpa tua,lo sai benissimo : sono sempre di questo colore dopo di che abbiamo fatto l'amore, non fingere di non ricordare!". Rompono l'ossicino della fortuna esprimendo mentalmente lo stesso desiderio: che il loro amore sia eterno. Poi ridono e si prendono in giro si rincorrono ed  accarezzano fino a che la passione ha il sopravvento e si infilano sotto la tenda costruita "al bel e meglio" per l'occasione con due bastoni ed un telo di plastica Meno male che si tratta di un anfratto isolato raggiungibile  solo dal mare!

3°: LA DONNA CHE GUARDA

L'uomo continuava a parlare mentre la donna ,assorta, lo fissava. Il suo sguardo era come ipnotizzato da quella bocca da cui uscivano fiumi di parole , di cui percepiva confusamente il suono ma non il senso, perché non lo stava ad ascoltare. Non riusciva a staccare gli occhi da quella bocca rosa, dalle labbra ben delineate : più sottile  il labbro superiore, più carnoso quello inferiore, leggermente sporgente ,quasi rovesciato all'infuori - le ricordava spesso quello di un neonato appena staccato dal seno materno ed ancora ingordo di latte. I denti, non più regolari come un tempo, si intravedevano a tratti quando le labbra si schiudevano mettendone in evidenza le irregolarità, mentre il loro colore, ancorché ingiallito dal tempo, spiccava per contrasto contro il turgore delle labbra. Il nobile volto leggermente abbronzato le ricordava, come sempre d'altronde, i visi incisi sulle antiche medaglie etrusche. Le sopraciglia nere e folte, ma non cespugliose, si curvavano in quel modo che lei tanto amava ad incorniciare i begli occhi verdi che cambiavano tonalità a seconda degli stati d'animo ed ai cui lati  si irraggiavano piccole rughe non troppo profonde  che gli conferivano quell'aria virile che tanto le piaceva. I capelli, non più folti come un tempo, ancora neri ma con un ciuffo bianco e ribelle nel mezzo, incorniciavano la bella fronte spaziosa. Alla donna che guardava , il nobile maschio volto provocava strani sussulti nel cuore. "E' mio" pensava Marina con una punta di tenerezza  mista ad orgoglio "E' tutto mio." Chissà forse la sera quando avesse lasciato quell'ufficio, se non fosse stato troppo stanco chissà forse avrebbero fatto l'amore e quel pensiero le faceva scorrere un brivido di anticipatorio piacere lungo la schiena. Ed intanto lo sguardo si spostava dal volto alle larghe spalle possenti ricoperte dalla giacca a quadrettini di stile inglese e poi sotto la scrivania lampi di memoria le ricordavano le lunghe forti  gambe muscolose -da calciatore, come amava definirle lei. Non le erano mai piaciuti gli uomini dalle gambe secche- per affascinanti che fossero i loro proprietari. L 'uomo continuava a parlare di affari , la donna, che era salita un attimo nel suo ufficio per salutarlo- si sentivano spesso al telefono,ma quando poteva non si tratteneva dall'andarlo a salutare a metà giornata- si accingeva a lasciarlo.  Era suo marito da quasi trent'anni ed ancora non si era stancata di osservarlo:era sempre come  fosse il primo giorno per Marina. Non che non ci fossero stati  momenti bui, le piccole e grandi tempeste della vita che nessuno risparmia, ma il loro amore era uscito indenne da tutto, anche da quelli che si sarebbero potuti definire terremoti e dell'ottavo grado della scala Mercalli! E ne era uscito questo amore  forse anche più forte ed appassionato. Una cosa era certa: erano sempre stati fedeli l'uno all'altro e questo conta oh se conta! Tutto si può perdonare ma non un tradimento dell'anima. In un lampo della  memoria rivide Stefano ansimante e riccioluto inseguire i pomodori nelle azzurre onde del mare. Un sorriso le si dipinse sul volto al ricordo bizzarro "Perché mi guardi così?"  disse l'uomo." Niente, niente." rispose lei." E' che fa così caldo oggi nel tuo ufficio. E' la prima giornata di primavera sai. E' il giorno in cui ci siamo incontrati tanti anni fa" "Non ti preoccupare" rispose lui sorridendo, indicandole lo champagne fasciato in una bella carta multicolore  e posato in un angolo". Questa sera gli tiriamo il collo e festeggiamo a dovere."In quell'attimo il figlio ventiseienne, bello come il padre di cui aveva gli identici lineamenti, ma biondo come  Marina, entrò con un fascio di documenti ed una domanda sulle labbra "e di questi papà cosa ne facciamo?" Era giunto il momento di andarsene e  lasciare i due uomini soli a lavorare. Presto sarebbe venuta sera e loro due si sarebbero amati con  passione in virtù di un miracolo che si ripeteva sempre nuovo e sempre eguale. La donna sorridendo uscì chiudendosi la porta alle spalle. Scese frettolosamente le scale senza smettere di sorridere. Presto sarebbe stata di nuovo sera.

 

 

 

IL CORAGGIO DELLA GIOVINEZZA CHE IRRIDE LA MORTE

di Marisa Vidulli

 

Si tendeva come un arco Sebastien mentre, sulla punta dei piedi, inarcava la schiena  brandendo le banderillas colorate a pochi centimetri dal dorso del toro e l’ombra dell’arena  si allungava sulla sabbia.

Era il sesto  dei combattimenti previsti dal programma , tutti egualmente avvincenti, combattuti da Louis, Dorè e Sebastien, ma era Lui che la folla aspettava ed adorava. “Sebastien” era l’urlo che si levava dai gradoni ad ogni suo movimento mentre il giovane, danzando, giocava con la morte.

C’era del gioco e della danza in ogni suo movimento, sebbene il fisico atletico potesse  far pensare il contrario,  sembrava quasi scherzare col toro con frasi giocose senza rendersi  conto del pericolo mortale  mentre danzando correva  sino a sfiorare le corna del toro, perché le movenze erano quelle e di danza vera e propria si trattava: la danza della giovinezza che con incoscienza e voglia di emergere irride anche alla morte ma il sangue sul costume del giovanissimo torero- aveva solo 22 anni- stava a testimoniare la drammaticità di ciò che fittizio non era.

Sebastien, a differenza degli altri due toreri, più maturi ed esperti che lo avevano preceduto, era francese. Nato in un villaggio del sud della Francia prossimo al confine con la Spagna aveva iniziato a toreare sin da piccolo sotto la guida dello  zio Marc detto Chicuelo che era stato a suo tempo un  componente della quadrillas  di un famoso matador. Chicuelo gli aveva insegnato la tecnica , ma non la passione  , quella non si può insegnare , e il giovane ne aveva da vendere come pure di coraggio . Gli aveva pazientemente spiegato che il torero deve correre un grande rischio , uno dei tanti, per costringere il toro a caricare quando  è sulla difensiva e quindi dominarlo ; deve lavoragli il più possibile vicino, lasciandogli solo lo spazio strettamente necessario.  Ma provocando la carica così da vicino il torero non ha modo di evitare di venire preso, se gli va male s’intende, e ha poco tempo per preparare i passaggi. Bisogna avere un fisico e dei riflessi perfetti e soprattutto conoscere bene i tori. A fargli conoscere i tori erano serviti gli anni di allenamento con lo zio , per quanto riguarda il fisico Sebastien era un vero atleta , cosa del resto assolutamente necessaria nella corrida altrimenti un toro di 500 chili con due corna acuminate lanciato in  velocità diventa un avversario sicuramente vincente perché anche solo il semplice urto può avere effetti devastanti.

Questa era la sua prima grande corrida di fronte ad un pubblico di oltre 10.000 persone contro   tori da combattimento. Aveva una grande fretta di arrivare Sebastien e lo si capiva: voleva mettersi in mostra e bruciare le tappe di una carriera rischiosa e difficile  quale era quella del torero.

Sopperivano all’esperienza il  grande coraggio , il fisico atletico, la passione e  la grazia dei movimenti nell’arena. Bisogna sapere  a questo proposito che in un torero veramente grande la grazia è una qualità naturale e non una posa perchè si può essere capaci di posare quando le corna del toro si avvicinano da una certa distanza , ma non c’è il tempo quando ci si trova in mezzo, quando balzando avanti ed indietro ad un minimo angolo di sicurezza di fianco alle corna del toro gli si offre la muleta da una parte e poi dall’altra quasi restando voltati , punzecchiandolo col bastone della muleta o con la spada per farlo voltare. E cosi infatti che si stanca o si rianima un toro se non vuole caricare. Ma il toro che Sebastien stava affrontando   non aveva bisogno di essere rianimato, il giovane l’aveva capito subito non appena era apparso scatenato nell’arena scagliandosi con furia contro un quadrillero  e poi contro la palizzata rossa  dietro cui  l’uomo si era riparato , sollevando alcune assi scagliandole in alto ed entrando a metà nella barreras . Per fortuna non c’erano stati feriti, ma la folla si era alzata  in piedi emettendo un lungo boato di paura. Sebastien non aveva invece battuto ciglio ed aiutato dalla quadrillas aveva riportato il toro a toreare al centro dell’arena, ma dentro era tutto un fremere contro questo toro che sembrava intenzionato a dagli del filo da torcere.

Era un toro da combattimento, veloce e possente, vissuto all’aperto in grandi spazi senza alcun contatto con l’uomo, vero discendente di quei tori selvaggi che un tempo popolavano la penisola iberica. La mole, la testa piccola le corna lunghe e rivolte in avanti , il collo corto e gonfio per il furore ne facevano un avversario temibile . Era allora che il  suo grande coraggio  gli era venuto in aiuto e Sebastien ne aveva fatto sfoggio senza risparmiarsi, incalzando, roteando, dando di cappa , tendendosi come un arco e poi sfiorando temerario con i fianchi le corna acuminate.

Dall’alto della tribuna una donna dalle sembianze di Dea  lo guardava affascinata . Alta, slanciata in un abito rosa che le aderiva  come una seconda pelle, il capo coperto da un capello di paglia a larga tesa, dello stesso colore dell’abito, da cui scendevano i lunghi cappelli neri fino a sfiorarle i fianchi ben disegnati, si alzava e poi si risiedeva nervosa seguendo il combattimento di Sebastien.

 Sembrava una divinità pagana scesa dall’Olimpo alla ricerca di emozioni tra i comuni mortali. O forse era Maria, la fidanzata di Sebastien conosciuta mesi addietro  mentre si allenava per le corride della temporada  estiva. Maria non era rimasta insensibile al fascino di quel viso giovane dagli occhi azzurri ricoperti da lunghe folte ciglia scure e dallo sguardo irriverente, al fascino di quel sorriso che contagiava tutti, di quel carattere allegro sempre pronto a lanciarsi in una sfida e  lei che veniva da una lunga ed estenuante storia d’amore si era lasciata innamorare. Ma a pensarci bene quello che  l’aveva più colpita erano il suo coraggio e la sua passione per la sfida unitamente alla sua continua lotta con la morte. Aveva paura certo Maria mentre seguiva affascinata gli abili movimenti del suo Sebastien nella corrida, il cuore le faceva lunghi dolorosi sobbalzi nel petto quando il pericolo era più imminente ed allora si univa alla folla adorante da cui usciva all’unisono l’urlo “Sebastien” quasi ad esorcizzare la morte che incombeva. Il giovane , dal canto suo era rimasto, affascinato dalla grande bellezza della donna, dal suo carattere forte e dolce e sebbene fosse abituato a folle di tifose adoranti aveva preferito lei più matura e consapevole a tutte le ragazzine che lo fagocitavano, annoiavano e talvolta infastidivano. L’amore con Maria era stato travolgente e l’esperienza di Lei gli aveva insegnato molte cose nelle notti di passione. L’aveva conosciuta per caso, presentata da conoscenti comuni al  bar dei toreri vicino all’anfiteatro di Arles quando lei delusa dalla precedente esperienza non aveva nemmeno più il coraggio di vivere. Con Sebastien era rifiorita scoprendo nuove e sconosciute emozioni quali non aveva immaginato nemmeno nelle fantasie più ardite.

La corrida stava entrando nel vivo. Sebastien si inarcava all’indietro sulla punta dei piedi e piroettando come un ballerino metteva a segno due banderillas, poi altre due che con la stessa tecnica scoccava sul dorso del toro volteggiando tra le corna, senza l’aiuto della quadrillas perché lui e solo lui doveva rischiare con quel toro così pericoloso . Quindi le ultime due banderillas e poi veroniche in serie, tijerillas in una successione sempre più rapida di movimenti della cappa  che avvolgevano il toro in un turbinio di colori, di lustrini lucenti e di veloci  spostamenti con le corna che pericolosamente sfioravano il corpo del giovane.          

Nel tercio finale la cappa è sostituita dalla muleta rossa   offerta all’attacco del toro prima sulla destra poi, a carica appena evitata  rapidamente spostata sulla sinistra tenendo le spalle al toro e così di seguito in un crescendo di abilità e rischio  sino a che il toro, frastornato, si ferma ansante ed il  torero, con fare sprezzante, lentamente si allontana dandogli le spalle , la muleta rossa a strisciare nell’arena, a prendere l’applauso della folla.

Ecco quindi che il giovane chiede la spada, la ricopre con il drappo rosso della muleta ed inizia la sua danza con la morte. Lo stadio è silente e rapito dal rito pagano cui assiste, è il momento della verità e del supremo coraggio.

 Il toro è immobile ed ansante ma pur sempre potente e pericolosissimo  di fronte al torero che di corsa, la muleta nella mano sinistra a cercare di distrarre il toro e la spada nella destra, descrive un arco  proteso all’angolo tra la massa muscolare ed il cuore del toro. Il toro   balza in avanti verso il nemico e la lama colpisce mentre il torero con uno scatto esce dalla traiettoria ed evita per pochi centimetri le corna affilate. Ma Sebastien fallisce il primo colpo ed il toro ferito carica. Un fremito percorre gli spettatori, la donna in rosa si fa pallida mentre Sebastien è sorpreso ed ammirato dalla destrezza del toro che è riuscito a sollevare in alto la testa nel suo balzo alla ricerca del cuore dell’uomo deviando in tal modo l’affondo della spada che si perde sulla massa muscolare del dorso. E’ un momento di terribile intensità . I due avversari si studiano quindi Sebastien, come se nulla fosse ma con il fremito nel cuore tenta un secondo assalto. Il colpo riesce perfetto ed il toro  cerca senza trovarla l’ultima carica e cade nell’arena. La sfida è terminata. E’ un tripudio di folla che lancia fiori e sventola fazzoletti bianchi in onore dei due degni combattenti. Sebastien viene portato in trionfo a spalla dai compagni nel giro lungo i bordi dell’arena e ricorda gli eroi giovinetti che a Creta si lanciavano sulle corna dei tori  volteggiando nell’aria con grazia e dando emozioni ad un pubblico altrettanto esultante.

 Lassù, sulla tribuna, la donna in rosa è sparita, forse ritornata tra gli Dei dopo la sua avventura tra i mortali o forse scesa nello spogliatoio per felicitarsi col suo giovane compagno. 

 

 

 

 

Una giornata particolare

di Marisa Vidulli


 

La signora Dafne si svegliò con la spiacevole, amara sensazione dei suoi 54 anni compiuti. La sera ci sarebbe stata la solita festa di anniversario e l’idea non le piaceva affatto, ma gli inviti erano già partiti.

Si alzò stiracchiandosi voluttuosamente, dalle tende socchiuse filtrava una luce dorata, raggi che fendevano la penombra della stanza: spalancò sorpresa gli occhi .

"E’ bel tempo" pensò e raggiunse la porta balcone che dava sul giardino. La giornata avrebbe potuto prendere una piega diversa, ma chi se lo sarebbe aspettato dopo tutta quella pioggia! Aprì la finestra ed un fiotto di luce inondò la camera facendole sbattere nuovamente le palpebre .Si guardò lentamente intorno assaporando ogni attimo. La primavera era inoltrata e le piante già tutte in fiore. Gli uccellini sfrecciavano nell’aria profumata ed il sole tiepido accarezzava le sue braccia nude. Dimentica degli anni appena compiuti si dedicò al solito rituale mattutino: inalò profondamente , toccò con mano leggera la tuberosa, sostituì l’acqua nei piattini sotto le ortensie, odorò le bianche camelie poi, solo dopo avere a lungo indugiato, rientrò e si guardò allo specchio, ma per un attimo, un attimo soltanto. Si ricordò della frase di Peter, il caro amico di sempre :"Il tempo ti ha stropicciato un po’ il viso, Dafne, ma sei sempre tu la più bella." Che sublime bugiardo pensò, ma il ricordo del complimento la fece sorridere.

Il pensiero ritornò ai fiori: no non li avrebbe tagliati per adornare la sala della festa, sarebbe stato come ferire se stessa, ne avrebbe comprati degli altri da Valentino, il fioraio del quartiere. Indossò frettolosamente una tuta bianca, un golfone di cachemire annodato sulle spalle e via, nel giardino, a godere del miracolo della natura.

Che profumi, che luce! Che giornata fantastica per un compleanno- il mio, pensò- non avrebbe potuto desiderare di meglio!

Sul prato un merlo saltellava beccando qua e la tra le ancora rade margherite che stavano iniziando a spuntare. Il minuscolo vivace pettirosso faceva ogni tanto la sua fugace timida apparizione. Prima si avvicinava incuriosito poi, timoroso, volava via. Le piante di rose formavano una sorta di siepe odorosa e colorata mentre il mughetto rampicante contornava l’intero prato avvolgendosi a spirale sul muro di cinta che terminava con una siepaglia di edera.

Gli ulivi radi ,ma dalla chioma ricca e folta erano il rifugio prediletto degli uccellini. Nell’angolo dietro al capanno degli attrezzi c’era la grande aiuola delle piante grasse :il ficus spinoso era cresciuto e si ergeva altissimo, complice il terreno adatto e le assidue cure di Michele il giardiniere, gareggiando per aspetto e dimensioni con il così detto " cuscino della suocera", una pianta formato gigante simile ad una palla piena di spine che cresceva lì accanto. Altre piantine più piccole completavano con i loro coloratissimi fiori primaverili quel giardino nel giardino. A metà del prato sei ulivi dalla folta chioma verde ospitavano uccellini cinguettanti , ma ciò che più incantava Dafne ogni primavera era il castagno selvatico, al centro del parco. Questo albero dalle proporzioni gigantesche , simile ad una grande quercia, andava lentamente dischiudendo quasi con ritrosia i suoi frutti rotondi dando vita giorno dopo giorno ad una curiosa bellissima chioma fitta di fiorellini viola. Fioriva una sola volta all’anno, in maggio, poco dopo il pesco ed il ciliegio lì accanto. Tra i suoi rami aveva costruito il nido la tortora, che con il suono del suo caratteristico tubare accompagnava il dormiveglia di Dafne nelle mattine di primavera..

Guardò per l’ultima volta, prima di rientrare, il suo giardino: gli alberelli di limone carichi dei loro luminosi frutti, i pitosfori profumati e poi le surfinie a grappoli, le campanelle colorate di viola intenso, i rossi gerani cadenti ,chiazze colorate immerse nel verde del prato reso ancora più intenso dalle lunghe piogge di aprile.

Si chinò infine su una petunia e ne aspirò la fragranza inalando a pieni polmoni.

Era questo ciò che lei amava: il profumo del mare così vicino al di là della siepe, la luce di primo mattino, la vita, il suo giardino ,questo momento di maggio.

Decise che avrebbe fatto un po' di jogging a piedi nudi sulla spiaggia. .Attraversò il prato, aprì il cancelletto di ferro battuto e con un agile piroetta fu dall’altra parte, sul, viottolo che portava al mare. Il profumo tenue dei pitosfori le solleticava le narici mentre con passi leggeri misurava la distanza tra la casa ed il mare come quando anni addietro l’aveva acquistata e non si era mai pentita della sua scelta Ecco era arrivata: la grande striscia di spiaggia bianca l’aspettava, in lontananza si potevano scorgere dei joggisti che l’avevano preceduta Un due tre .. respiro Un due tre .. respiro mentre correva cadenzava ritmicamente il passo alla respirazione come le aveva insegnato il suo trainer.

"Ciao Dafne, cosa fai qui a quest’ora il giorno del tuo compleanno?"

.La voce maschile la raggiunse alle spalle, poi Peter la superò allegramente facendole mangiare la polvere anzi la sabbia. Peter il suo amico da sempre, caro vecchio Peter, da quando si era separato da Magda veniva spesso a correre lungo la spiaggia quasi a voler scacciare i cattivi pensieri. Erano stati sul punto di fidanzarsi quando erano giovani: 15 anni lei solo di due anni più grande lui, poi erano cresciuti, era entrata in gioco Magda e le loro strade avevano preso direzioni diverse. Dafne a sua volta aveva incontrato Mario, si erano sposati ed avevano alle spalle un lungo, forse troppo lungo, matrimonio ,ma a volte soprattutto in momenti come quello non poteva impedirsi di pensare:" Chissà come sarebbe stato con Peter?.". Quell’uomo così timido e sensibile l’aveva sempre intrigata ed il suo fisico asciutto, gli occhi azzurri e quel personalissimo sorriso ancora misteriosamente l’attraevano.

"Non mancherai questa sera vero? "gli disse "Ho già pensato alle decorazioni floreali ed organizzato la disposizione dei tavoli: tu sarai accanto a Marinella, quella donna vivace da te sempre definita spontanea e piena di buonumore tanto da farti pensare quando la incontri ad una vongola verace o ad una gazza ladra ".

"Visto che tu non sei più disponibile sarò ben lieto di sedere accanto a lei" scherzò Peter. A passo ritmato raggiunsero scarmigliati e ansanti la scogliera a nord da dove fecero dietro-front per ripercorrere a ritroso lo stesso cammino L’acqua lambiva i loro piedi, l’odore muschiato del mare arrivava a folate misto a spruzzi di salsedine: sembrava un’armonia perfetta ma ora come allora, allorché giovani e curiosi si erano avvicinati, qualcosa d’impalpabile e misterioso li allontanava e contemporaneamente li spingeva l’uno verso l’altro.

."A stasera allora" si salutarono. Dafne rientrò per cambiarsi: una lunga giornata l’aspettava, densa di impegni ed avvenimenti.

Mentre era sotto la doccia il suo pensiero corse a Camilla, l’amica dal tempestoso passato: era sinceramente in dubbio se invitarla o meno. Ogniqualvolta l’aveva fatto erano sempre nati dei casini; con tutti quegli ex che si ritrovava e tutti amici anche di Dafne! Se ameno qualche volta fosse andata a razzolare ed a scuotere la sua chioma rosso fuoco da qualche altra parte! Pensare all’amica la metteva sempre di cattivo umore, ma non poteva esimersi dall’invitarla anche questa volta. Mario se ne sarebbe rabbuiato: era stata per anni la sua collaboratrice fidata- ma era stata poi solo quello? Molte volte Dafne se lo era chiesta ….

"Per l’uomo l’amore è solo un capitolo per la donna è tutto il libro. Per la donna è importante dare felicità: per l’uomo solo riceverla" Queste frasi lette in un libro anni addietro le erano spesso ronzate nella mente nei periodi più burrascosi del suo matrimonio e adesso ricominciavano a far capolino dai meandri della memoria.

E poi quell’altra " È un fattore inconscio quello che ci fa tessere la tela che vela il nostro mondo " non diceva proprio cosi C. G. Jung nell’ultimo libro che aveva letto?

Camilla a 17 anni era stata la fidanzata di Pierluigi un bel maschio da competizione con tanti soldi alle spalle, era riuscita persino a farsi sposare, sebbene la famiglia di lui fosse contraria sin dall’inizio, a causa della sua dubbia reputazione. Ma dopo 10 anni di fidanzamento lei l’aveva spuntata lasciando tutti di stucco. Poi il marito era morto in un incidente d’auto con una di quelle macchine sportive che amava tanto, lasciandola ricca, vedova ma soprattutto libera di rimettersi in pista.

Non aveva pianto più di tanto Camilla e si era presto consolata con tutti gli uomini in circolazione, forse anche con Mario suo marito- ai tempi in cui lavoravano assieme.

Driiiiin squillò il telefono distogliendola dai suoi cattivi pensieri.

Si rammaricava spesso Dafne del fatto che cosi veloce si ammucchiava la vita da non avere il tempo di registrare l’ammucchiarsi egualmente veloce delle riflessioni Questo le succedeva sempre più spesso ultimamente e sempre se ne rammaricava.

Al telefono c’era Dino il famoso chirurgo estetico che chiedeva conferma dell’ora e del luogo del party. "Sì in giardino, alle 7 in punto, giacca e cravatta naturalmente." Poi aggiunse replicando ad una battuta scherzosa dell’amico "Tutto bene, non ho bisogno di ritocchi io. Lei le sue rughe se le sarebbe tenute che venisse pure senza bisturi". Alla fine riattaccò con una risata.

A dire il vero l’inizio dell’età di mezzo l’aveva colta impreparata. "Forse succede così a tutti", si era detta allora per consolarsi.. Aveva cominciato a rimirarsi sempre meno allo specchio- tanto non vi era più molto da rimirare pensava, poi era tornata a specchiarsi, ma questa volta senza occhiali da vista, così le piccole o grandi imperfezioni del suo viso, un tempo bellissimo, - ma non era solo l’altro ieri?- vi apparivano sfumate, come patinate dal tempo. Lo specchio , suo grande amico da una vita, era diventato improvvisamente suo nemico acerrimo. Aveva si - persino pensato di velare o meglio far patinare tutti gli specchi di casa, poi si era rammentata della contessa di Castiglione che già l’aveva preceduta e le era venuto da ridere. Si era sentita a volte patetica in quella sua affannosa rincorsa della giovinezza perduta ed il sentimento che l’accompagnava anziché esserle di aiuto e farla rinsavire la deprimeva. Le ritornava spesso alla mente un pensiero che aveva scritto in gran segreto nel suo diario: "Scopri all’improvviso che potresti essere la mamma di tutti i giovani maschi che ti attraggono e forse anche la nonna di qualcuno di essi .Ed è subito sera….anzi notte fonda!".

L’unica sua consolazione era la consapevolezza di aver fatto la scelta giusta quando aveva deciso che no lei non sarebbe mai ricorsa a lifting o rigonfiamenti vari perché quando vedeva le sue conoscenze che avevano optato per questa scelta ,e Camilla era tra queste, si rendeva conto di quanto fosse labile quel rimedio. Lei no, lei aveva da sempre sostenuto la supremazia dell’intelligenza sull’aspetto fisico. Ma ora che la cosa la toccava in prima persona ne soffriva Ma non più di tanto Sopperiva con la sua ironia, che sempre nella vita l’aveva aiutata.

Si distolse a fatica dal corso impietoso che avevano preso i suoi pensieri, strofinò vigorosamente i capelli con una salvietta., che così corti e biondi si sarebbero asciugati in un attimo- che bella idea aveva avuto quando aveva deciso di tagliarli l’estate scorsa anche se Mario si era opposto fino all’ultimo minuto cercando di farle cambiare opinione. Ma una donna deve ben sapere fare le sue scelte o no? Via la crocchia sulla sommità del capo ed oplà un taglio sbarazzino che la ringiovaniva di almeno 3 anni se non di più.. Dafne guardò l’orologio: erano già le 11, doveva affrettarsi. Scese in garage, entrò nella sua adorata vecchia macchina sportiva, un’antica M G , quindi via verso il villaggio per gli ultimi acquisti per la sera. Intanto la sua mente vagava tornando con insistenza a Peter: l’incontro sulla spiaggia l’aveva stranamente turbata. Le ore del pomeriggio trascorsero veloci negli ultimi preparativi ed arrivò la sera della sua festa .Per prima cosa annunciò ai suoi ospiti che Marinella aveva telefonato scusandosi di non poter partecipare a causa di una fastidiosa influenza. A quel punto Camilla, velocissima, lasciò il suo posto e si sedette accanto a Peter." Non ti dispiace vero se sostituisco Marinella?" gli sussurrò languidamente o cosi almeno parve a Dafne che iniziava a sentirsi a disagio come se avesse il presentimento che qualcosa di odioso stesse per accadere. In effetti la conversazione tra i due era animata, intervallata da lunghi, penetranti silenzi o così almeno sembrava a lei che li osservava da lontano. Al momento del brindisi Peter fece un discorso elogiando innanzitutto le doti della perfetta ospite, poi prese garbatamente in giro Dafne per gli anni appena compiuti senza tuttavia dimenticare la frase che tanto le piaceva- quella del viso stropicciato. Infine si allontanò verso il prato con una mano allacciata attorno alla vita di Camilla. Dal canto suo Mario che mal sopportava feste e tirar notte, si era scusato dicendo che si sarebbe ritirato presto: aveva un impegno di lavoro l’indomani alle otto fuori città." Che scusa banale!" pensò Dafne, avrebbe potuto fare uno sforzo almeno per la sua festa...

Fu allora che lo vide appoggiato ad una colonna in fondo al patio con aria scanzonata: alto, occhi verdi, sorriso smagliante, guardava proprio verso di lei. Fisico atletico ed una buona ventina d’anni più giovane. Era l’assistente di Dino ,il chirurgo estetico suo amico. "Andrea B." così si era presentato all’arrivo con una vigorosa stretta di mano. Continuava a sorriderle. Peter era sparito con suo grande disappunto, Mario dormiva, gli ospiti satolli si erano sparpagliati sul prato sotto le stelle, non le restava che prendere una rapida decisione. Eh la prese, ah se la prese la sciagurata! Rispose al sorriso sentendosi come la monaca di Monza che risponde ad Egidio. Poi, trepidamente, andò incontro al suo destino...

 

 

 

La vacanza delle tre sorelle

di Marisa Vidulli


 

La vita le aveva portate lontano, poi come un fiume in piena che dopo rapide e cascate il suo scorrere lento e maestoso ritrova, le aveva riavvicinate, attraverso il nostro grande maestro: il dolore.

Il dolore provato alla scomparsa degli adorati genitori le aveva fatte crescere ed ora paradossalmente si ritrovavano sessantenni e nuovamente fanciulle a giocare nell’acqua, a ridere e scherzare come se il tempo non fosse mai passato.

Ma il volto di ognuna di loro- a parte la più bella," la rossa", che previdente era corsa ai ripari ai primi segni di cedimento- rivelava che gli anni erano trascorsi e avevano lasciato ben visibili le loro tracce .

Certe frasi, certi sospiri, qualche mezzo sorriso forzato diceva che la vita aveva fatto il suo corso e non le aveva di certo risparmiate, nessuna delle tre.

La più grande spesso si lamentava dei suoi acciacchi, più che normali per i suoi anni ed allora le due più piccole la tacitavano dicendole:" Ma la smetti di lamentarti! Guarda che noi ce ne torniamo a Milano, preferiamo l’afa ai tuoi sproloqui e ti lasciamo sola a fare il bagno nella tua adorata St. Tropez", al che lei si zittiva per un poco per paura che quei momenti incantati finissero troppo presto: avevano promesso di fermarsi tre giorni, era meglio non indispettirle.

Ed allora via con le nuotate e gli incitamenti: "Dai stringi le chiappe così si rassodano e e tuffa quella testa, che sembri un’anatra, fendi l’acqua a grandi falcate come ci ha insegnato papà." La più piccola forse perché gli anni le pesavano meno nuotava con la testa sott’acqua, a tratti sembrava un delfino, instancabile e veloce, come a sfuggire i cattivi pensieri che il marito da cui era separata le aveva lasciato.

La rossa nuotava anche lei a lungo avventurandosi al largo, la riconoscevi dalla testa impeccabile, sempre fuori dall’acqua aveva una resistenza veramente incredibile, doveva aver preso dal padre, rosso come lei e magnifico nuotatore sino a tarda età.

Marina faceva del suo meglio, andava fino alla zattera dove si riposava a lungo prima di tornare a terra da quelle due matte che la prendevano in giro. Ma quanto le amava! Le sembrava quasi di non essere mai stata così felice a parte il giorno del suo matrimonio.

Erano state bellissime da ragazze e lo erano ancora anche se più ragazze non erano: solo che ora la loro bellezza veniva dall’anima traspariva dagli occhi sorprendeva nel sorriso e forse loro non lo sapevano

La sera si faceva gran festa: la rossa, l’unica non sposata, sbalordiva tutti con le sue ricette deliziose e super veloci: "E’ perché non sei obbligata a cucinare tutti i giorni per gente che critica sempre e non dice mai grazie." La rimbeccava la piccola che non aveva peli sulla lingua.

Marina taceva, osservava e si riempiva l’anima di dolci sensazioni, oltre che lo stomaco, che improvvisamente da quando erano arrivate loro non era più stretto nella morsa abituale. Ma quand’era l’ultima volta che aveva mangiato così tanto, lei abituata a spiluccare di malavoglia, infatti era la più magra con grande invidia delle altre due alquanto "rotondette" che non mancavano di ripeterle "Beata te che sei così alta e magra e ti puoi mettere di tutto" Intanto continuavano a mangiare e a bere gran limonate la mattina per smaltire l’adipe; però buttavano via le bucce loro, a differenza dei suoi due uomini, lavavano i piatti a turno e a turno cucinavano, insomma si davano un gran da fare: la casa era lustra come non lo era mai stata prima..

Una mattina Marina aveva scoperto la piccola che faceva l’architetto ed era appena tornata da Los Angeles dove aveva lavorato con il famoso R. Pinon, nel soggiorno seduta al tavolo con accanto il suo bottiglione di limonata mentre buttava giù degli schizzi e borbottava tra se: "Gli spazi male disposti mi fanno stare male: qui si può, si deve sistemare molto e chi glielo fa a Marina se non glielo faccio io? "Cos’hai detto?" fece subito Marina che silenziosa era entrata di soppiatto," ma guarda che io sono al verde e non posso metterci dei soldi" "Non importa, si può fare molto anche senza. Aveva risposto imperturbabile l’architetta "e poi è talmente mal ridotta questa casa"- a Marina sembrava bellissima, ma certo doveva ammettere che con qualche cambiamento e ripulitura sarebbe stata ancor meglio. Alla fine si convinse e disse:" Dai, facciamo un patto- era il loro gioco preferito da piccole -" io ti do la casa 10 giorni a settembre, che è poi la stagione migliore, inoltre l’Università dove insegni è ancora chiusa e tu sistemi tutto. "Affare fatto, qua la mano" rispose l’altra senza pensarci due volte :sembrava molto sicura del fatto suo

"Ma come farai a fare tutto da sola e senza soldi poi? "le chiese Marina esterrefatta. "Ti dimentichi che sono separata da vent’anni ed ho imparato a fare tutto da sola, non sono mica come te che dipendi in tutto e per tutto da tuo marito, telefonandogli ogni momento; comunque anche prima del fattaccio mio marito non aveva mai piantato un chiodo, riparato un avvolgibile o quant’altro ed intanto continuava a buttare giù schizzi mentre la sorella pensava "Si, però ti ha spezzato il cuore quando se ne è andata con luna delle tue cosiddette" amiche" lasciandoti sola con due figlie piccole da crescere. Non era bravo a riparare ma eccelleva quando si trattava di spezzare: cuori o legami, in questo era un vero maestro.

A rompere era proprio bravo e poi il cuore è difficile da riparare. Ti ha rovinato la vita quel disgraziato ed ora ti ha anche ipotecato la casa ed intanto le saliva dentro una gran rabbia guardando quello che per lei era sempre un batuffolo biondo, la tenera piccola sorellina da proteggere e a cui morsicare delicatamente il nasino. Lei no, la sorella abbandonata, aveva perdonato dopo tanto soffrire, al limite dell’inenarrabile: si era fatta buddista ed aveva raggiunto un’apparente serenità. E continuava pure ad amarlo l’infame, poi nei momenti di crisi scappava sull’Himalaya o in India o in un monastero buddista ai confini del mondo. Aveva fatto un duro lavoro su se stessa ed ora era molto più serena di un tempo, quando aveva cercato per ben due volte la morte Dei brividi le percorsero la schiena mentre la guardava e ringraziava Dio di averla salvata.

"Si, d’accordo facciamo un patto" disse ad alta voce abbandonando quei tristi pensieri, che a distanza d’anni avevano ancora il potere di sconvolgerla e poi ci stava troppo male. Avrebbe voluto vendicarla, difenderla, aiutarla Marina senza accorgersi che la piccola si era già aiutata da sola, dimostrando una saggezza ed una forza d’animo che lei stessa non si era mai sognata di possedere. L’aiutava anche il grande senso dell’ironia, la capacità di fare scherzi atroci e poi riderne assieme con le sorelle, come quando erano piccole.

Una mattina mentre stava facendo colazione con la più piccola colse l’occasione per ringraziarla di essere riuscita a dissuadere la rossa a portare il suo cane, un Labrador bellissimo di pelo scuro, ma di taglia extra-large di cui Marina aveva una grande paura." Ma si ma si, le ho semplicemente detto che non poteva importene la presenza, e per fortuna che non ci sente sappiamo tutte e due quanto lo ami." In quel momento entrò nel soggiorno la sorella sbadigliando a più non posso e stiracchiandosi -lei asseriva di non dormire ma si alzava sempre per ultima- "Guardate che vi ho sentito voi due che parlate male del mio cane" Ma la cosa finì lì, perché la piccolo proferì una delle sue battute al vetriolo "State zitte voi due e smettetela di beccarvi per il cane, tanto ho già bello che capito che toccherà a me che sono la più giovane curarvi quando sarete vecchie e malandate, tu Marina già lo sei, vedi di rallentare. Altro che cane!"

Nel pomeriggio prima di prendere il battello che le avrebbe portate nella mitica St. Tropez, la videro armeggiare con una grossa macchina fotografica, buttata a tracolla, era più grossa la macchina della proprietaria: si trattava di una vecchia Laica professionale, con cui aveva fotografato parte dell’America dopo un congresso." Ma cosa ci fai, te la tracolli anche sul battello?" le chiesero ridendo le altre "E’ per fotografare voi due sceme che vi credete ancora tanto belle. Ho pensato che ci volesse una macchina degna di voi" e giù a ridere tutte assieme. Quell’allegria faceva bene al cuore pensava intanto Marina che allegra lo era raramente. Bisognava che incontrasse più spesso le "due piccole "come erano soprannominate nell’infanzia e ridesse con loro. Chissà che la brutta depressione bipolare di cui soffriva non ne traesse giovamento e poi c’era tutto da imparare da quelle due, ne sapevano un più del diavolo: ricette ultrarapide, aggeggi da cucina per risparmiare tempo e danaro, come pulire a fondo la casa senza faticare, sapevano tutto di tutto insomma fuorché sugli uomini. Su quell’argomento era più preparata lei, forse perché era stata l’unica ad avere una lunga storia d’amore felice che ancora continuava, ma non era detto anche su quello avevano da insegnarle e lei le ascoltava perché dalle loro parole si sentiva quanto bene le volevano.

"Se continui a telefonare e chiedere consiglio a Giorgio per la minima sciocchezza va a finire che disimpari anche a camminare! Devi essere più indipendente! Anche lui te ne sarà grato, poi però ci dai tutti i soldi che hai risparmiato di telefonate. "Capito?"" Le sbraitavano ogni volta che emetteva la fatidica frase" ora lo chiedo a Giorgio" e succedeva spesso "troppo" spesso. Poteva davvero provare a camminare con le sue gambe Marina, pensare con la sua testa e soprattutto vincere la pigrizia congenita ed imparare a fare la cose che regolarmente delegava a lui .

E venne il tanto temuto Mistral: gli alberi delle barche in porto si misero a tintinnare, le bandiere issate sui pennoni si tesero come vele, la sabbia iniziò a fare mulinello, l’acqua a raffreddarsi.

Il mare si increspò assumendo un aspetto suggestivo come ritratto sulla tavolozza di un pittore che ami dipingere con lunghe, nervose pennellate. Crestine bianche di schiuma si rincorrevano su di un’apparente lastra di ghiaccio e i colori, i colori assumevano una tale trasparente luminosità che avrebbe incantato il più disattento degli spettatori. "Andiamo veloci che qui gli occhi ci si riempiono di sabbia" "Faccio l’ultimo bagno e vengo"

Il delfino, la più piccola, si tuffò ed iniziò a nuotare vigorosamente, che le correnti provocate dal vento erano forti Seguita dalla rossa che dopo un "Anch’io, anch’io" si immerse senza pensarci due volte. La sera stessa si lavò poi i capelli perché con un mare così hai voglia tenere la testa di fuori te la bagni lo stesso Marina iniziò a raccogliere gli asciugamani che già prendevano il volo e preparare il borsone perla rimpatriata si fa per dire che la casa era lì dietro l’angolo e questa era la sua bellezza. Durante tutta la notte il vento continuò a soffiare rabbioso: ci fu un gran cigolare di porte nonostante le tapparelle sprangate.

La mattina seguente Marina si svegliò all’alba, subito si recò sul terrazzo per vedere se fosse aumentato ancora il vento della sera prima. Con sua grande sorpresa il vento si era calmato e lei poté ammirare il miracolo di un’alba tersa ed inaspettata. E’ come nella vita, pensò, dopo la tempesta arriva la quiete, mentre il sole sorgeva lentamente dallo specchio d’acqua ormai calmo, e i colori nell’aria tersissima assumevano sfumature incredibile. Stava quasi per svegliare le altre due perché godessero di quello spettacolo, ma il buon senso ebbe il sopravvento.

Ricordò all’improvviso certe albe ammirate Riccione, tanti anni prima quando vi si recavano in vacanza con la famiglia: si arrivava col treno da Milano dopo aver viaggiato tutta la notte, si andava in pensione con la carrozzella trainata dai cavalli che sempre stazionava in quei luoghi di passaggio. Il caldo era afoso e loro tre adolescenti e bambine non riuscendo a dormire un po’ per il caldo un po’ per l’eccitazione sgattaiolavano fuori a vedere l’alba dai contorni magici e soprattutto quel sole luminoso che sorgeva dal mare.. Poi si mangiavano la piadina e tra risa e lazzi andavano a dormire. I genitori ignari sprofondati nel sonno nell’altra stanza dormivano da svariate ore. Mentre ricordava tutte queste cose che da sole le emergevano dal cuore ,le tornavano alla mente le parole della mamma". Mai fasciarsi la testa prima di rompersela". Lei si che di buon senso ne aveva, Marina invece si preoccupava per un nonnulla, aveva passato la notte ad ascoltare l’ululare del vento e a pensare a come occupare la giornata l’indomani tra un mulinello si sabbia e l’altro.

Il ricordo della mamma scomparsa da poco l’aveva commossa, furtiva una lacrima le scese sulla guancia. No non avrebbe permesso al ricordo di trasformarsi in dolore anche se la ferita era ancora aperta. La vita continuava anche se impoverita da quella perdita e le regalava ancora momenti bellissimi come quella sorprendente mattina tersa e la compagnia delle sorelline.

E giunse la fine della breve vacanza. L’indomani le sue due sorelle partirono.

La notte dopo la loro partenza dormì malissimo: quella stanza vuota, quella dove "le piccole" avevano dormito, le riportava alla memoria sensazioni dimenticate, il silenzio della casa dopo il matrimonio della figlia. Quanto aveva sofferto allora, pur nella felicità provata per lei.

Ah la vita che prima ti da e poi ti leva. Ora era lo stesso. Spente le risate, attutiti i rumori, l’anima ritorna a ripiegarsi su te stessa e ti lascia il tempo di pensare, il che non è sempre piacevole.

Decise che avrebbe messo a frutto quanto imparato, intanto si sarebbe allenata a nuotare facendo dapprima il percorso della più piccola: quello dalla spiaggia alle boe e poi avrebbe pian piano aggiunto ad esso quello della rossa: dalla spiaggia alle boe lontane, oltre la zattera: sarebbe stato un modo anche per rivivere i momenti felici trascorsi in loro compagnia.

Però non si sarebbe comprata il costume intero caldamente consigliatole dalle sorelle con la scusa che era più chic e più coprente le magagne dell’età, avrebbe continuato a godere del suo corpo che amava così com’era anche se meno fresco di un tempo. Si sarebbe comprata dei bikini più coprenti questo sì. Bisognava imparare a sbagliare con la propria testa o no? Ammesso che fosse uno sbaglio e Marina non ne era convinta.

Oggi avrebbe imparato a nuotare sul dorso con la testa nell’acqua, come la sorella piccola.

Guardò l’orologio: era quasi l’ora dell’appuntamento col maestro di nuoto.

Diede un colpetto ai due pesci di legno appesi sulla parete regalo delle sorelle e se ne uscì fischiettando "Nicolas and Barth" la famosa canzone di Joan Baez, che aveva cantato a squarciagola con le sorelle in quei tre spensierati, indimenticabili giorni.

 

 

storie di gente affatto comune

di Marisa Vidulli

 
 

Index: L’amica - Due madri - Il Padre - La psicoterapeuta - La Madre

1 - L’AMICA

L’aveva notata da molti anni adocchiandola dal  terrazzo la mattina quando sfrecciava via con una potente   coupè  color argento su per la stretta “crosa”,  oppure la sera   quando rientrava e sempre si stupiva nel vedere quella donna, non molto alta di statura  ma decisamente elegante e sempre  di corsa, per via di quella gran ciocca bianca nei capelli corvini. Era quella la cosa che l’aveva colpita maggiormente, non la perizia della guida né la velocità  e lo scatto  della macchina  che risaliva giornalmente il vialetto tortuosa della stretta strada privata dove entrambe abitavano, bensì quella ciocca bianca. "Ma guarda un po’ cosa non fa una per farsi notare," aveva sentenziato allora dall’alto dei suoi giovani anni.

Il caso, questo grande manovratore dei nostri destini, volle che si conoscessero  per combinazione dopo  diversi anni, non più giovani ,alla cassa del supermercato vicino casa e attaccassero discorso nell’attesa, poi la vicina si presentò e le chiese se voleva un passaggio  visto che andavano nella stessa direzione.  In effetti le borse della spesa pesavano e lei aveva subito accettato. Avevano fatto conoscenza dopo forse vent’anni di vicinanza e scoperto una immediata affinità elettiva .Intanto la vicina di casa era milanese quasi come lei,  in quanto pur essendo veneta era cresciuta a Milano, poi era un’artista, architetto di interni e pittrice di talento, un po’ più di lei che scriveva tanto ma pubblicava  solo quando trovava l’editore interessato, ma soprattutto l’attirava la personalità della nuova conoscenza perché comprese subito di trovarsi di fronte a a una donna fuori dal comune per visione della vita, sensibilità e saggezza, quasi che la ciocca bianca che la contraddistingueva le avesse donato delle qualità speciali. Con quella ciocca, le raccontò in seguito, era nata: dopo un parto in casa particolarmente difficile. Non se l’era mai tinta e la portava con fierezza, oltre a tutto le donava.  L’aveva portata con meno gioia negli anni della scuola quando tutti la chiamavano” Penna Bianca”.

 La sua vita era stata segnata da  un evento ben più traumatico della ciocca bianca anzi a ben pensarci era come se venendo al mondo le fosse stato impartita un’avvisaglia di ciò che l’aspettava e lei ne fosse rimasta traumatizzata riportandone un gran spavento. Ecco perché al momento del parto rigorosamente in casa aveva fatto  avanti e indietro dal grembo della madre e non si decideva ad uscire, forse aveva paura.

Ma paura nella vita poi non ne aveva più avuta, anzi aveva affrontato a muso dure prove che avrebbero spezzato se non frantumato mille donne.

Il matrimonio col grande penalista si era ben presto dimostrato un fallimento: lui uomo del sud, padre e padrone, era come si soleva dire a quei tempi- anni 50- un po’ birichino e non si peritava di portarle in casa le sue amichette. Lei aveva resistito per un certo lasso di tempo un po’ dicendosi” passerà”, un po' per amore dei figli, ma quando la misura fu colma, si prese i suoi due rampolli ancora in tenera età e se ne andò di casa. Tirò fuori il suo bel diploma d’architetto, si rimboccò le maniche e divenne capofamiglia, senza più dolorose umiliazioni, ma con tanta tantissima fatica  sia fisica che morale, e a volte la seconda è peggio della prima. Il marito non fece una piega.

Altro che Penna Bianca, tutti i capelli in quei difficilissimi anni avrebbero potuto sbiancarle dal dolore e dal sudore. Ma la grande passione per il suo lavoro l’aveva aiutata a non annegare anche se aveva annaspato spesso.

A questo proposito le aveva raccontato in uno dei numerosi incontri che erano seguiti al primo fortuito nel supermercato, di quando aveva nuotato per ben diciassette ore dopo che il motoscafo del marito si era incendiato per portare a terra la figlia, ambedue abbrancate a un salvagente. Ad un certo punto allo stremo delle forze erano per fortuna incappate nella corrente che dalla Corsica porta verso terra, le balene le avevano avvicinate e circondate facendo in questo modo scorgere ai soccorritori dall’alto dove fossero i naufraghi allo stremo delle forze. Il padre invece ai primi segnali d’incendio si era prontamente tuffato dicendole:” porta in salvo la bambina!” Ora i che figli erano adulti lei continuava a lavorare e guidare come una pazza tanto che una volta un vigile le si era accostato e con un bel sorriso le aveva detto:” Signora guardi che l’autodromo di Monza e più a nord, qui siamo a Genova”

Le due donne si erano intese da subito e così dalla miracolosa combinazione di bisogni inespressi era nata una forte amicizia, un rapporto profondo ed affettuoso, in cui spesso l’amica era capace di dare risposta alle domande più difficili perché dotata di buon senso e forse anche un sesto senso per via della sua Penna Bianca. Le loro diversissime vite che fino allora avevano proceduto su binari lontani, nonostante la vicinanza nello spazio, ogni tanto s’incrociavano in una telefonata che leniva un dolore o condivideva una gioia, spesso suscitava un’allegra risata con una arguta battuta meneghina sdrammatizzante. Attraverso circuiti inesplorati  nella vita di entrambe era entrata l’Amicizia.

2 - DUE MADRI

La signora bionda era alta e imponente, il cagnolino invece piccolissimo, tutto  pelo e occhi dolci. Marina li incontrava spesso, quasi ogni giorno, quando usciva per le sue commissioni , naturalmente sempre a piedi: non amava guidare. Aveva deciso da subito, che la signora con i capelli raccolti doveva essere del segno del leone, che tutto in lei lo denotava, il cagnolino  forse della bilancia per via della dolcezza dello sguardo e l’aria  mansueta che le ricordava una sua antica fiamma.

Un pomeriggio mentre correva a ginnastica con il suo zaino sulle spalle, era organizzatissima ma sempre in ritardo per via dei troppi impegni, incontrò la signora con la parte destra del volto tutta blu, mentre il cagnolino le trotterellava accanto più mansueto del solito, gli occhi meno accattivanti quasi  umanamente tristi. Fattasi coraggio Marina, visto che oramai era più di un anno che s’incrociavano, si presentò e le domandò cosa le fosse successo. Allora Carla, così si chiamava, si tolse gli occhiali scuri e l’occhio ferito si rivelò in tutta la sua crudezza. Sempre più sconcertata ebbero un colloquio esplicativo da cui apprese che il giorno prima era inciampata lungo la strada, era caduta, aveva sì cercato di ripararsi il volto con le mani ma purtroppo era caduta con l’occhio sinistro proprio su di un tombino e a ben poco era servita la sua presenza d’animo se non a salvarla da altre brutte fratture ,ma che non si preoccupasse  l’occhio non era leso, nonostante l’aspetto impressionante e lei era abituata a ben altri tipi di incidenti Quali? Chiese ingenuamente Marina che, dimentica oramai della ginnastica, aveva deciso nel frattempo che vi si sarebbe recata l’ora successiva, l’ascoltava con vivo interesse. Quella donna l’aveva da sempre incuriosita da prima aveva pensato fosse vedova sempre sola col cane, si sa che quando non si hanno più gli umani le bestie sanno fare tanta compagnia e donare devozione ma soprattutto amore. Ma il racconto che le fece la donna la inorridì ben più della vista dell’occhio iniettato di sangue. Anni addietro aveva perso la figlia di soli vent’anni appena sposata a causa di un banale quanto imprudente incidente di macchina. Si stava recando al lavoro e al casello dell’autostrada era scesa ed aveva attraversato la strada per chiamare da una cabina telefonica avendo dimenticato i documenti, in quell’istante un tir era passato e l’aveva uccisa. Era stata sepolta con l’abito da sposa. Il marito non si era più ripreso ed era  ancora vittima di una forte depressione a distanza di  anni. Lei aveva temuto di diventare folle e si era recata ad immergersi nella vasca della Madonna a Lourdes per implorarla di non farla impazzire, che questo aveva temuto allora sconvolta dal dolore. La Madonna l’aveva aiutata  e lei si era convinta che non era stato Dio a rubarle la figlia, ma il libero arbitrio di cui tutti siamo dotati a far si che la figlia commettesse un’imprudenza di quella portata. Marina la guardava allibita e poco convinta: troppo semplicistica la spiegazione troppo immenso il dolore, chissà quale prete, in buona fede s’intende, l’aveva convinta e aveva fatto bene perché Carla non era impazzita. Viveva con il suo cagnolino che trattava come un umano, anzi meglio perché aveva per lui dei riguardi incredibili: se c’era scirocco lo portava in braccio lontano dal mare: "subito a casa gli diceva" come se parlasse ad un bambino se no ti prendi un brutto raffreddore e non possiamo più uscire ed incontrare questa bella signora- Marina. Certo che essere costretti a stare in casa con tutti quei ricordi e lividi sull’anima non era una bella prospettiva, anche se la casa di Carla era bellissima, da vera leonessa, quasi sfarzosa. Marina ne fu intimidita la prima volta che la vide e le veniva in mente la sua di casa altrettanto bella, ma tutta disordinata. Appena rientrata dalla visita aveva tirato fuori da sotto il letto, dove li aveva riposti, due tappeti antichi di seta, poi aveva telefonato a Carla per sapere come fare affinché non scivolassero sul pavimento. Carla era stata prodiga di consigli utili: insomma erano diventate buone conoscenti, abitavano vicine e ogni tanto Marina andava a farle visita senza ricambiare mai per via del suo disordine.

La casa di Carla era troppo ordinata e sfarzosa e il confronto le incuteva timore, come ancor più gliene incuteva la camera della figlia scomparsa dell’amica , con tutte quelle stupende foto, le bambole e i vestiti appesi ordinatamente nell’armadio. Lì guardando la gigantografia di quella giovane bella ragazza Marina soffriva e pensava suo malgrado che Carla non avrebbe dovuto conservare tutto in quel modo perché  così si faceva del male. Ma guai a dirglielo, non si sarebbe mai permessa e poi non aveva lei stessa tenuto a lungo intatta la camera della  propria figlia sposatasi  5 anni addietro come se  in quel momento fosse una cosa da farsi. L’aveva smantellata e a malincuore, solo quando il figlio maschio vi si era installato portandovi tutto il suo disordine e Marina a volte ancora aveva come un flash della memoria e  la rivedeva come la cameretta ordinata che era stata, profumata e senza uno spillo fuori posto.

Oh la sua bambina quanto l’amava, anche se quando era in casa c’erano stati dei momenti di disaccordo. Stefania rideva scuoteva la fulva chioma quando si lamentava del disordine del figlio, però la prima cosa che faceva quando veniva la domenica a pranzo era di andare a vedere come aveva ridotto quella che per 30 anni era stata la sua camera, il suo rifugio, il fratello poi se ne usciva con è un vero porcaio mamma, si vede che ha preso da te, dal tuo disordine creativo voglio dire, aggiungeva subito vedendo la rabbuiarsi e proibiva intanto a suo figlio di quattro anni di entrarci che ci si poteva far male lì dentro per via dello zio disordinato e aveva ragione. La mattina anche Marina per alzare la tapparella aveva il suo bel da fare a scavalcare mucchi di paccottiglia, quando il pavimento non era bagnato beninteso, perché gli si era rovesciata la bottiglia dell’acqua, che allora si bagnava anche i piedi e con tutti quegli attacchi elettrici una volta o l’altra si sarebbe presa una bella scossa.

 Ma quel figlio adorato le dava ben altro che il suo disordine, proprio in un momento difficile come quello che la famiglia stava attraversando era partecipe e vicino come non mai, consolatorio e lucido, Marina non sempre lo era, e allora “vaffa…” il disordine! Oh i misteri dell’animo umano, in certi momenti le tornava alla mente la frase di G.Joung "è  una ragnatela inconscia quella che tesse i nostri pensieri". Cerca!

Mentre pensava tutto ciò, non riusciva nemmeno ad immaginare il dolore mortale  che doveva pervadere quella povera donna, che come diceva Eschilo era suo malgrado “cresciuta nel dolore” Chi era lei per giudicare e tanto meno suggerire:  diede un buffetto a Fifi che Carla generosamente le porgeva, guardò quegli occhi dolci, ne lisciò il pelo ed uscì in tutta fretta a telefonare a sua figlia.

Sarebbe andata alla valletta Cambiaso con il nipotino , che si preparasse in fretta se voleva raggiungerla ,si desse una mossa, che non aveva tempo da perdere lei! Ecco questa era sua figlia: tono imperioso, velato rimprovero, razionalità ed efficienza, tutte cose che Marina non aveva, ma andava bene così.

Ora che non vivevano più sotto lo stesso tetto i disaccordi erano meno frequenti, anche se talvolta lei lasciava correre per amor di pace, lei non sua figlia ella non lasciava mai correre, sempre a puntualizzare, rimproverare più o meno velatamente, qualche volta aveva anche ragione s’intende, ma Marina non ne apprezzava la schiettezza che sfiorava spesso la brutalità, lei lo chiamava sano realismo, ma lei pensava che andasse ben oltre  e ne era spesso ferita. Ci avrebbe certamente pensato la vita a smussarne i tratti spigolosi, la vita che nulla regala, purtroppo non ci resta altro che lasciarla scorrere ed accettare, come le aveva insegnato sua sorella che aveva studiato il buddismo ed accettare.

Guardò l’orologio con la coda dell’occhio: aveva meno di mezz’ora per raggiungere l’amato nipotino. Interruppe ila preparazione delle lasagne, ripose la besciamelle in frigo assieme alla salsa, mise da parte  i quadratoni di pasta, che per fortuna non aveva ancora bollito . Suo marito sarebbe sicuramente rimasto deluso, ma gliele avrebbe preparate per la cena. Fece una doccia rapida e si catapultò fuori casa per raggiungere la figlia, non senza essersi fermata prima dal giornalaio per acquistare il regalino per il nipote

“Guarda cosa ti ho portato !” gli avrebbe detto e i grandi occhi del bambino si sarebbero illuminati di gioia purissima , curiosità, impazienza di scoprire la nuova meraviglia nascosta nel pacchettino. Ecco cosa perdiamo crescendo : la capacità di illuminarci anche per le piccole cose,” il fanciullino” che è in noi, solo i più fortunati  riescono a non perderlo di vista ,ma non te lo puoi imporre e a volte si perde per strada lungo i meandri della vita. Una vita in cui, secondo la filosofia, noi dobbiamo stare nello scorrere  del vissuto invece di opporre resistenza e fare come i salmoni che vanno contro e risalgono la corrente, quindi anche noi non dobbiamo cercare di andare al contrario. E’ una virtù  individuale che o c’è o non c’è, e spesso si perde per strada lungo i meandri della vita.

Una vita in cui come  afferma la famosa frase di Eschilo “Nel dolore cresco” (pathos pathei) cresciamo solo se soffriamo ,ma attenzione c’è una sottile differenza tra dolore e sofferenza , quest’ultima non è altro che il dolore compreso, quindi più accettabile, in quanto ne vedi più l’utilità. Il dolore cieco ,sordo è inutile, non lo accetti e  quindi soffri di più a sopportarlo.

Mentre indugiavo in questi filosofici  pensieri mi venne in mente una frase dettami l’anno precedente, quando ero in Tunisia, da una signora romana. Avevo conosciuta Sonia nel villaggio vacanze e poi l’avevo a lungo osservata per la sua singolarità, che consisteva nell’essere sempre allegra, disponibile, si forse anche un po' "caciarona" come è tipico dei romani, ma simpatica nel complesso Un giorno ebbi la malaugurata idea di chiederle come facesse ad essere  sempre così allegra e serena, non come me che non mi andava mai bene niente ed ero sempre sull’orlo di una crisi di nervi. Non l’avessi mai fatto o forse si perché mi servì da lezione. Mi narrò in modo del tutto pacato anche se sentivi grande dolore e profonda sofferenza dietro le sue parole, che anni addietro le era morta una figlia  e aveva dovuto occuparsi  dei nipotini a tempo pieno e questi le riempivano la vita anche se data l’età, era sui 60, a volte faticava molto. Per questo era in vacanza per riposarsi, ma non era letteralmente capace di oziare, non abituata a stare con le mani in mano non si perdeva un’escursione, andava dappertutto, era curiosa: sembrava divorare la vita e non era mai stanca. E pensare che la vita aveva cercato di divorare lei, che invece era risorta dalle proprie ceneri.

Un giorno tornata da un’escursione a cammello nel deserto, a cui Marina aveva prontamente rinunciato, si fermò a bere un te rinfrescante con lei al bar dell’albergo e lì con fare misterioso le confessò un segreto .Il suo segreto. Quello che le aveva permesso si continuare a vivere dopo la tragedia. In tutta semplicità le disse, tra un lamento e l’altro perché il dorso del cammello le aveva massacrato la schiena: "Sai, io penso che il Signore mandi l’acqua secondo i panni". Non capivo e la guardavo stupita –come poteva lamentarsi per uno stupido dolore alla schiena che si era andata a cercare e non  disperarsi per la perdita di una figlia?- ed allora mi spiegò, come un medico che spiega all’ammalato quello che per lui è ovvio, il senso arcano di quelle parole. Il buon Dio quando ti manda un dolore controlla bene che tu sia in grado di sopportarlo come quando un acquazzone improvviso ti coglie e se sei solo in camicia ti bagni fino all’osso mentre se hai impermeabile e capello, i panni insomma ,ne puoi uscire anche asciutto. Lei ne era uscita anche se un po’ umidiccia perché il Signore le aveva fornito i panni, cioè la Fede. Mentre così parlavano, passò loro accanto un’ombra di uomo: era il marito, che non parlava mai e a cui il Signore si era scordato di fornire i panni o forse non li aveva voluti lui, vai a vedere: insomma l’uno viveva nel dolore l’altra nella sua vita, che le permetteva di continuare l’esistenza in modo utile e sereno. Il dolore cieco e sordo è inutile, non lo accetti e  quindi soffri di più a sopportarlo. Sonia lo aveva capito e aveva avuto la forza e la fede, il marito no. E venne il giorno in cui  incontrai nuovamente la signora bionda l’occhio guarito il sorriso pronto  il cagnolino al guinzaglio e mi ricordai all’improvviso di Sonia. Due donne, due destini crudeli, due forze inaspettate e simili, come nella  famosa poesia di Trilussa sulla fede. Se non la conoscete ve la regalo!

Eccola:

Quella vecchietta cieca, che incontrai

La notte che mi spersi in mezzo al bosco

Me disse : “ Se la strada non la sai

Te riaccompagno io che la conosco

Se ciai la forza de venimme appresso

De tanto in tanto te darò una voce

Fino là in fondo ove c’è un cipresso

Fino là in cima ove cè la croce”

Io risposi” Sarà ma trovo strano

Che mi possa guidà chi nun ce vede.”

La cieca allora mi pijò la mano

E sospirò: ”Cammina”.

Era la Fede.

3 - IL PADRE

Il lago di Como, il ponte sull’Adda, la strada polverosa, lo slargo del Caleotto,  via Don Ferrante, la vecchia acciaieria ,dietro il cancelletto verde la mia antica casa.

Era il mio piccolo nido, mi si  accappona la pelle mentre mi avvicino. Un calore mi pervade il cuore, mi si ghiaccia il sangue nelle vene. Quel sapore di antico e familiare mi attrae come calamita, mi respinge come presentimento di dolore. La mia paura è quella di tutti gli umani che tornano  dopo lungo tempo. all’antica dimora.

Il giardino assolato sembra più piccolo, le scala sino al quarto piano più lunga, la porta di casa addirittura minuscola tanto  il ricordo l’aveva ingigantita.

L’entrata della mia casa è umida e silenziosa, tanto era calda e piena di vita allora.

Sento una persiana che sbatte, vacillo sulla soglia, accarezzo i muri come reliquie. Tutto tace. Quel deserto mi fa paura, tenerezza, nostalgia, dolore.

Ho paura di vedere l’ombra di mio padre. Un coltello mi trafigge il petto.

Il passato ritorna lentamente.“ Vieni Marisa, andiamo a fare un giretto in moto; hai studiato cosi tanto!” Odo la sua voce come fosse ieri, un raggio di sole trema nell’inferriata della finestra che dà sul  giardino. Sento il rombo della sua vespa.

“ Si papà andiamo ancora una volta a fare” il giretto “!

Ora il passato mi piomba addosso con il peso di una valanga, mi fa sobbalzare, curvare sotto il fardello del dolore. Tutta la vita si arresta, perde colore, non è più niente.

Vorrei fuggire, andare via, ma so che non potrei mai. Spalanco la porta della mia cameretta ,come si è rimpicciolita. Come la mia mamma.

Papà no, non si è mai rimpicciolito è rimasto l’uomo grande e forte di sempre fino alla malattia ed anche allora il petto possente i muscoli delle braccia intatti solo quel gemito insistente così simile ad un rantolo che gli usciva dalla bocca, che non ha più bellezza non ha più dolcezza non ha più forma umana, non ha più suono umano, un orifizio oramai in un volto ancora bello, ma pieno di cannule, che indica no che sta per lasciarci. C’è dunque qualcosa che può farmi più male di quello sguardo che non può  più vedermi? Di quel mugolio fioco che vorrebbe dire il mio nome ma non può. In quel momento io sono vuota di tutto fuorché del mio terrore, imprigionata in lui la mia anima fissa nella profondità di quelle amate pupille. 

Un gemito più forte mi fa sobbalzare, alzo la testa, lo guardo, bisognava che il destino pietoso mi accecasse prima. Non  era così il viso di nostro Signore quando prese su di se tutti i peccati dell’umanità? Uno sguardo che non mi vede, che non mi riconosce, anche se io spero di si, che mi senta mentre lo accarezzo, lo bacio, lo consolo. Il suo sguardo è oscurato, fisso, dove l’amore non è se non tristezza sino alla morte al di là della morte.

Mio Padre! Le ginocchia mi si rompono, tremano le pareti sembrano afferrarmi, vincolarmi a loro mi fanno girare come una ruota di tortura.

Siamo a Gardone Riviera dalla finestra della clinica dove lo abbiamo portato per sfuggire all’afa di Milano si vede uno scorcio di lago e parte del terrazzino fiorito. Mi hanno detto che appena arrivato ha  mormorato “che bello! ”. Le coincidenze del destino a volte sono agghiaccianti... Il ricordo impietoso corre al viaggio fatto in moto a lui abbracciata, tredicenne, da Lecco al lago di Garda, uno dei ricordi più belli della mia  adolescenza. Ed ora papà è venuto a morire  nullo stesso lago, nella stessa località. Il destino ha deciso molto prima di noi.

Ora sono qui ad accarezzare le cose che non mi daranno più indietro il mio papà, il mio papà forte e buono che mi chiamava bimba e  non sentirò mai più.

Ma lo odo  mentre cammino   attraverso le stanze, soffro la mia casa come se le avessi fatto le travature con le mie ossa, come se l’avessi plasmata con la mia carne.

Spalanco le porte, apro le persiane di ogni stanza, non c’è nessuno, sono stanchissima, mi distendo sul letto, il letto matrimoniale dove fui concepita. Scorgo sul comodino la piccola sveglia dorata con inciso il suo nome e l’anno in cui gli alunni dell’ultimo corso  glielo hanno donato. Mi rammento, mi sembra ieri, quanto ne andasse  fiero. Lo prendo in mano lo scruto, ne percepisco il calore: com’è liscio, chissà quante volte avrà fatto lo stesso gesto anche lui, lo metto nella borsetta: sarà sempre con me.

Ora comprendo quel suo silenzio degli ultimi mesi, era pietà era pudore per la sventura che l’aveva colpito e oramai lo accompagnava per mano.  Si  era come incupito, nemmeno io la figlia prediletta riuscivo a farlo sorridere più, solo davanti alla nipote, mia figlia oramai grande, sembrava riprendersi, poco.

"Mi porti una ventata di giovinezza, Stefania, quando vieni a trovarmi" E porti anche tua madre, avrebbe potuto aggiungere perché per me era diverso, la vista di mio padre invalido aveva fatto in modo che la felicità di una volta avesse lasciato posto a coltelli affilati che mi dilaniavano. Anche il mio silenzio era pietà, pudore. Lo accompagnai per mano l’ultima volta ai giardini e lì parlammo di tutto e di niente, si vedeva che soffriva e tanto della sua invalidità.

Ecco ora sono sul letto dove ci sono i ricordi della mia fanciullezza e adolescenza. 

“Ci sono i problemi di trigonometria da risolvere, domani  ho il compito in classe, sono 150 ce la farai papà a risolvermeli in una sola notte?”

Ricordi lieti e ricordi tristi si alternano, mentre si rincorrono nella mia mente, ed io giaccio sulla parte destra del letto, dove dormiva lui, dalla parte sinistra dormiva mia madre , a quei tempi malata di nervi, piangeva sempre, si lamentava , minacciava… e poi voleva che io la consolassi dopo tutto quel fracasso che mi terrorizzava e le cose che diceva di papà…, il mio papà buono, paziente, affettuoso, il mio GRANDE papà.

Ho vissuto  trent’anni a Genova nella dimenticanza di queste cose e queste cose possono rivivere ora così terribilmente in me?

I ricordi mi accompagnano per mano, mi  blandiscono, .Mi alzo a malincuore. Nella stanza accanto c'é  la mia cameretta studio, il  divano letto a forma di elle,  il bell’armadio di noce  laccata, dentro allo sportellino forse ancora fondi di bottiglia dei liquori che sorseggiavo amareggiata alla fine di ogni amore, in cui ostinatamente incappavo, il vecchio giradischi con i 45 giri.  Freneticamente  cerco  il disco suonato mille volte per dimenticare l’amore finito dei miei 16 anni. Lo trovo, in esso ci sono i miei ricordi, così dolci...

Un corridoio mi separa dal grande  soggiorno, dove  diligente  studiavo per ore ed ore, mi faccio forza entro è piena d’ombra, rimbomba, il cuore batte le mura con l’urto cieco del destino. Spalanco le imposte ecco il grande tavolo dal ripiano di cristallo verde dove Lui sedeva fino all’alba per trovare la soluzione a quei compiti di trigonometria che non mi volevano proprio entrare in testa, lo rivedo il nobile volto, lo sguardo buono, le spalle possenti .

 “Marisa  dai ze’ facile, fa’ attenzion, ascolta…” trasalisco mi è sembrato di riudirla davvero quella voce cara che parla l’amato dialetto istriano. Mi agghiaccio, mi manca l’aria, spalanco la finestra, respiro a fondo, alzo lo sguardo al Resegone il monte che lui per sfida aveva scalato vantandosene poi a lungo. Sulla destra in lontananza il campanile del villaggio sotto il monte segna l’ora, riesco ancora a scorgerla: è l’ora dell’incontro con il destino. Io sono vuota, non vedo più alcun senso. Conosco una morte che forse nessun’altra figlia  potrà mai conoscere.

4  - La psicoterapeuta

Nadia ha incrociato la mia vita dopo un aneurisma cerebrale e mi ha aiutata tanto. A distanza di anni l’ho ricercata per problemi del tutto diversi e lei c’era.

Più matura, ancora più bella sempre ricca di quella professionalità che la contraddistingue, unita a un  entusiasmo senza pari per il suo lavoro, e un non comune senso di umanità, ma non è questa che ti salva dal baratro: sono la competenza e la presenza e l’ acuta intuizione- che se non ce l’hai mica lo puoi fare un mestiere come il suo che ti  succhia via anche l’anima.

Ci vogliono predisposizione, intuito , voglia di aiutare il prossimo, ma non basta ci vuole anche fiuto, una particolare sensibilità per penetrare nell’alchimia del dolore perché è un attimo quello che risolve un problema o non lo risolve affatto, e non riuscirci è un fardello pesantissimo per chi si è assunto questo onere

Nadia è bella come una star ,ma star non è se non nel suo operato se ami il tuo lavoro come lei che lo vive letteralmente sulla sua pelle.

 E’ dolce ma sa essere dura all’occorrenza, sa come curare le ferite dell’anima, dopo che i chirurghi hanno curato quelle del corpo. Forse, chi lo sa, anche lei potrebbe essere entrata nel tunnel del dolore durante la sua vita- penso un giorno durante un colloquio- perché solo allora sai capire e impari a  porgere una mano, lei però ti da anche la spalla su cui piangere, il consiglio che ti fa riflettere, anche se in quel momento il dolore ti ottunde, perché anche il dolore si può sembra impossibile  a dirsi, gestire. Incontrarla in un momento buio della vita è una grande fortuna. Una fortunata coincidenza mi ha portata a lei, uno  di quei casi che visti a posteriori ti fanno capire come ogni evento non appartenga mai a un fatto fortuito ma faccia parte di un disegno del destino.

E non dirle mai che il suo è un lavoro di merda perché si arrabbia moltissimo come si può arrabbiare solo uno scorpione.” Lo faranno gli altri un lavoro così, a me da solo gratificazione.”

Nadia è la mia psicoterapeuta, la mia zattera di salvataggio nelle tempeste della vita, il mio angelo custode.

Lei cerca di trasmettermi –e quasi sempre ci riesce- il segreto della vita, la sua inesorabile bellezza anche dentro al dolore, la sterile inutilità del vittimismo, l’esistenza di un  sempre possibile riscatto, la corretta interpretazione della speranza e soprattutto della compassione.

 Mica cosette da niente!

Mi insegna tante cose la mia Nadia: ad esempio a non rispondere mai alla violenza con la violenza perché questa è l’unica possibilità che abbiamo, la capacità di percorrere un percorso alternativo, faticosissimo ma che  risulta poi essere l’unico grazie al quale un individuo può raggiunger l’ambita meta di abbandonare le zavorre delle mancanze per sostare nelle grazie dei suoi sudati conseguimenti, sulla sua conoscenza, sulla obiettiva onesta ammissione dei suoi limiti e su una legittima e per nulla presuntuosa affermazione libera delle sue potenzialità. Questi concetti di per se un po’ astratti mi vengono sempre illustrati da esempi concreti che mi aiutano a capire e metterli  in atto. Nadia ama spesso raccontare episodi del  quotidiano, della vita in generale perché il suo lavoro di psicoterapeuta in un grande centro oncologico non le impedisce certo di avere una vita privata, vedere l’ultimo film, possibilmente molto impegnato, andare a teatro e così via.

A volte racconta anche episodi  poco allegri ma la sua naturalezza nell’esporli impediscono a chi ascolta ogni raccapriccio, giusto un po’ di pelle d’oca, ma non sempre, è più facile che lacrime di compassione ed empatia ti brucino gli occhi e allora piangi e non te ne vergogni tanto le mura dello studio di Nadia  hanno viste tante  persone in lacrime: ricchi e poveri, giovani e meno giovani tutti accomunati dalla tragicità del nostro essere umanamente fragili.

E poi c’è la vita che incontri nella sala d’attesa. Ricordo una giovane bella donna con la testa completamente calva per la chemioterapia che mi faceva coraggio. Lei a me, che cancro non avevo e non mi avevano asportato un seno: a lei si, ma diceva che  poi lo avrebbero ricostruito e la vita sarebbe tornata ad avere un senso. E nel frattempo? Nel frattempo c’è Nadia che ti accoglie solare con i suoi tacchi altissimi le generose scollature a ricordarti che la vita c’è e deve continuare e che si possono coniugare bellezza e intelligenza, umanità e competenza per aiutare a dipanare traumi e dolori e ritrovare un equilibro messo a dura prova dalla vita.

 Lo straordinario spessore di Nadia fa da stimolo alle inerzie a volte incolpevoli di molti dei suoi pazienti. La gioia come il dolore ,la rabbia come la gratitudine per lei hanno sempre delle ragioni che vanno conosciute scandagliate e condivise con loro.

Perché ogni volta che ti senti sull’orlo del baratro Nadia c’è.

5 - La Madre

Lei ha solo ventiquattro anni, due lunghe trecce bionde e gli occhi color pervinca, che mentre parla  ora mandano bagliori ora si abbassano mansueti. Sta attaccata al manubrio della bicicletta con cui è giunta al confine presidiato dai partigiani, ha tanta paura ma parla al giovane comandante che l’ha fermata con voce ferma. La notte è buia, lontano s’odono colpi di mitraglietta. Lei temeraria e impavida a stento si trattiene dal far valere con forza le sue ragioni, ben conscia, o forse no, della situazione di pericolo in cui si trova, ma l’incoscienza della gioventù è la sua arma segreta.

Spiega con calma che deve passare il confine per raggiungere il marito insegnante che l’ha preceduta a Pola dove entrambi hanno vinto la cattedra. Lì l’aspetta anche la sua bimba di solo un anno. Ma il comandante non vuole sentire ragioni : "Siamo in guerra, si rende conto di cosa chiede? Le ragioni del cuore non esistono più, ora valgono solo quelle delle armi e  fare giustizia… bla bla bla."

Allora  come spesso avviene a chi è disperato la mente escogita un’astuzia un qualcosa che aiuti a trarsi d’impaccio, a salvarsi la vita in questo caso. La giovane si ricorda le parole in lingua slava studiate di malavoglia alla scuola italiana bilingue dove erano d’obbligo e subito cambia atteggiamento e lingua,  gli risponde in slavo  facendogli credere di essere dalla sua parte. Usa molto la parola giustizia ed esprime  non più la sua disperazione ma recita la parte di chi è caduto in un equivoco. "Si la resistenza è giusta; loro saranno vincitori e giustizia sarà fatta. Lei vorrebbe tanto raggiungere marito e figlia per poi tornare a dare una mano per la causa." Nel frattempo alcuni giovani, suoi ex scolari delle elementari ,hanno riconosciuto la loro giovanissima maestra  di San Vincenti-  Vesna aveva iniziato ad insegnare in quel paesino a soli diciassette anni- e con cautela perorano la sua causa.

La notte è fredda ed assassina – come nella canzone – la giovane ha paura, non vede l’ora di andarsene.

Nessuno saprà mai  perché il comandante l’abbia lasciata andare, fatto sta che il lasciapassare viene concesso seduta stante e lei  risale sulla bicicletta lasciando finalmente il confine: si sente ancora addosso gli occhi di tutti quei soldati e comincia solo ora a rendersi conto del gravissimo pericolo scampato. Ricorda le orribili storie che circolavano in paese sugli orrori perpetrati dai soldati, la tensione nervosa che ha sotteso il suo coraggio l’abbandona all’improvviso, perle di sudore le bagnano la fronte nonostante il freddo intenso, scende dalla bicicletta e si appoggia al tronco di un albero  respirando a pieni polmoni l’umidità della notte. Risale, il bosco  le appare minaccioso, la strada sterrata più faticosa mentre le pedalate accompagnano i battiti del cuore è conscia di andare verso la libertà. Le gambe sono intorpidite dalla stanchezza, ma non importa, tra poco, ventiquattro ore al massimo, potrà riabbracciare lo sposo  dai capelli rossi e la sua piccola Marisa con gli occhi pervinca come i suoi.

 Il loro pensiero la sostiene, la paura piano piano svanisce insieme al nodo che le attanagliava il petto, anche il corpo sembra riacquistare vigore.

 Questa era la mia mamma : temeraria e ostinata, indomita e astuta all’occorrenza, dotata di grande intelligenza, avvezza alle fatiche del corpo ed ai dolori dell’anima,  e a cui la vita non risparmiò proprio nulla.

La sua mamma, la mia nonna materna non era invece riuscita a venire via dall’Istria dopo il trattato di Osimo che arbitrariamente cedeva le terre italiane alla Iugoslavia, era rimasta nella sua casa natia ed era morta poi nelle famigerate foibe, ma questa è una lunga  storia  troppo triste per essere narrata.

 

val bormida in versi colorati

 

 

Castello del Carretto - Millesimo -SV - Mostra 20-26/7/2015

 Vittorio Centurione ScottoVal BormidaGenealogia Bellone

VIDEO

FESTIVAL caARTEiv delle ARTI

www.youtube.com/playlist?list=PLxGV-Qi6jNqz_DS6hOppA3y1tHD-fbNUh

Poetando Val Bormida dal 1998

www.youtube.com/playlist?list=PLxGVQi6jNqzIRR4mnSIoy3oBuuLJWsGD

Cara vecchia Cartolina

www.youtube.com/playlist?list=PLxGV-Qi6jNqy-1-NQ2r3K4-MFALvIoQNp

Due passi nell'Arte con...

www.youtube.com/playlist?list=PLxGV-Qi6jNqy0Bruht4Ixqwgl4WUKdb9U

Pausa caffè l'Autore

www.youtube.com/playlist?list=PLxGV-Qi6jNqxfz-yOd2KKIzRYGRNgdWul

Arte in Onda - Parola D'Autore

www.youtube.com/playlist?list=PLxGV-Qi6jNqw5EQMYU4nqaRDYkzDarHM3

Arte e Storia - Val Bormida

www.youtube.com/playlist?list=PLxGV-Qi6jNqxHQFaBfffL4g4CDu17sbHk

Dialetto e Antichi Mestieri

www.youtube.com/playlist?list=PLxGV-Qi6jNqzvfUtcS9WaOPdvLm3U0ECa

Culturando Informando Arte

www.youtube.com/playlist?list=PLxGV-Qi6jNqwEW58vqO5kFphgHgNp7Xzh

Arte in creazione

www.youtube.com/playlist?list=PLxGVQi6jNqy4S7NJhCk1wuXSo9QnVJPR

Mostre Arte in Tour Collettive

www.youtube.com/playlist?list=PLxGV-Qi6jNqynvb42RxlGoJPW9vyWI3-j

Omaggio ai Cantautori

www.youtube.com/playlist?list=PLxGV-Qi6jNqxRpZvs9YCP0v7Z-40OsJca

Viaggio Poetico - Simona Bellone

www.youtube.com/playlist?list=PLxGV-Qi6jNqxwwSeyQCgq9wyLVo6bbdem

In Arte caARTEiv News Magazine

Giornalino Storico caARTEiv

Giornalino Storico Simona Bellone

Clicca sui titoli degli argomenti per visionare lo storico articoli NEWS ON caARTEiv

FROM mILLESIMO TO THE WORLD

MUSICA-ARTE-LETTERATURA -SPETTACOLO-STORIA-ATTUALITÀ-LIGURIA

 

 

 

 

   

 

Attendiamo iscrizioni al sito caarteiv, partecipazioni ai nostri concorsi letterari, mostre artistiche e concerti : FESTIVAL caARTEiv delle ARTI ! grazie e arrivederci a tuttI !

 www.caarteiv.it

 simona.bellone@gmail.com

 caarteiv.italia@gmail.com

 simona.bellone@tin.it

Giornalino Storico caARTEiv

 

Risultati Foto Articoli Concorsi

 

MURALE LETTERARIO

 

 

ALBO D'ORO Poesie Racconti Haiku

 

ALBO D'ORO LIBRI EDITI

 

CROCI Cavaliere e Memoria

simona.bellone@gmail.com - caarteiv.italia@gmail.com

Magazine caARTEiv on ISSUU:

Un giornale artistico, storico e culturale da sfogliare gratuitamente in digitale:

http://issuu.com/simonabellone/stacks/e228daf9db9c485caac9e134689b9491

 

Giornalino Storico Simona Bellone

Attendiamo iscrizioni al sito caarteiv, partecipazioni ai nostri concorsi letterari, mostre artistiche e concerti : FESTIVAL caARTEiv delle ARTI ! grazie e arrivederci a tuttI !